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Fate figli solo se siete pronti a tutto

Quando studiavo all’uni, poco prima di diventare mamma, mi ricordo che andavo nell’aula internet e navigavo alla ricerca di un’esperienza di cooperazione internazionale chissà dove. Mi sembrava una possibilità elettrizzante, che faceva un po' di paura ma paura buona.

Non sapevo che la scelta di fare figli è altrettanto coraggiosa. 
Eppure molti fanno figli, mentre pochi vanno in missione in Congo. Come se fare i figli fosse un’esperienza da divano, tipo avere un gatto. 

Per me fare figli non è mai stata un’esperienza da divano, ma nel mio caso era facile intuirlo, perché la persona con cui li ho fatti non era il tipo di uomo da villetta a schiera e lavoro in ufficio, sennò probabilmente non ci saremmo mai messi insieme. 
Non sapevo neanche che le mie figlie non sarebbero state tre tipe da villetta a schiera. Forse perché sono la versione estrema di me: sono quello che dico ma non quello che faccio, hanno messo a dura prova ogni mio discorso inclusivo da millenial tipo “puoi vestirti come vuoi, io non avrò mai un atteggiamento padronale nei tuoi confronti”; “uh che bello che frequenti il centro sociale e il pacchetto degli skaters”; “dio non esiste, le regole sono per chi non ha auto-disciplina e la morale è un fatto culturale”, e via così, quando, se solo fossi riuscita a essere un po’ meno fedele a me stessa, avrei dovuto mandarle a dottrina e dare loro delle pedate nel sedere.
Sono state tre bambine fantastiche, oggi sono le figlie che auguro a quegli instagrammer con i bimbi piccoli che si dichiarano “famiglia rock’n’roll” solo perché mettono i Pink Floyd come sottofondo delle story. 

No, non è l'adolescente medio. Quel ginocchio è mio.


Ma la verità è che il percorso a ostacoli non è determinato solo dalla mia personalità. E neanche dalla particolarità del padre delle mie figlie con cui peraltro non convivo dal oltre dieci anni. E neanche (tanto) dalle mie figlie stesse. 
Non è neanche dovuto al fatto che essere responsabile al 100% del benessere materiale e spirituale di un’altra persona, è un’esperienza che ti mette in relazione con un essere umano (e con il mondo esterno) in un modo che non ha eguali: è una relazione animale, ma anche sociale, ma anche antropologica, ma anche razionale, frutto di tutte le regole auree che le mamme di Instagram ti hanno riassunto in un comodo reel. 

La fatica, dicevo, non viene solo da come siamo noi o da come sono io, ma anche e soprattutto dal fatto che l’Italia ha questa concezione ultra-cattolica del sacrificio materno e la madre, volente o nolente, è costretta a farci i conti e a introiettarla. 
Me ne accorgo quando ricoverano mia figlia, mi offrono una sedia di plastica dove dormire tre notti, e la mia reazione istintiva è la ricerca della forza di sopportare, che farebbe di me una Madonna perfetta. Purché curino mio figlio, io mi sacrifichero' con gioia. 
Ma che cazzo?

Io me li immagino, tutti quelli che si occupano di minori, che fanno lunghe riunioni, che snocciolano le normative nazionali e locali, che si barcamenano tra le menate moderne e gli intramontabili “ma poi se il bambino si fa male vado in galera io”, che già diceva la mia maestra, mentre, pace all’anima sua, fumava tre pacchetti al giorno sulla soglia dell’aula scolastica. 

Si barcamenano e si barcamenano e poi tutto si risolve in un bel regolamento chilometrico di divieti per il bambino / ragazzo e di prese di responsabilità che il genitore subisce senza aver mai né voce in capitolo, né un dialogo che non sia continuamente rimbalzato dai “ah, io capisco la sua posizione ma il regolamento”. 

La tutela dei minori, si dice. Anche quando il minore ha diciassette anni e viene trattato come un mentecatto, e quello che capisce lui, adolescente medio, è che può fare qualunque cosa perché tanto ne risponderà sempre qualcun altro. Per la tutela minori.
La tutela dei minori che vale solo per chi va alla scuola pubblica e all'ospedale pubblico, comunque.

Per quello dicevo: tutti fanno figli, ma nessuno vuole andare in missione in Afghanistan, eppure a volte intuisco che non è poi così diverso.

Commenti

  1. Anche io mi sento seduta su quella dannata sedia di plastica e combatto ogni giorno per trovare le forze per reggere fino a fine giornata. Ma non sapevo dirlo bene come te.
    I miei tre figli sono anche più piccoli dei tuoi, non so quando potrò tirare il respiro.

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  2. ... Tutte quelle famiglie instagrammer con figli piccoli che si reputano rock n roll solo perché mettono i Pink Floyd nello loro storie.... No, ma tu sei un mito... Mi leggi nel pensiero!!!

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  3. Ma che è successo??! Spero sia risolvibile. Un abbraccio
    Nia

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  4. Ma che poi le mamme Instagram vivono ancora nel periodo dei bambini non in età teen, periodo in cui vengono ascoltate, sono ancora indispensabili... a voglia ad avere l'ego gonfio e a far vedere quanto fi**e sono! Voglio vederle tra qualche anno quando si sgretolerà (leggi: cambierà) tutto il rapporto con i figli e ad un tratto non saranno più indispensabili...ANZIIIII.
    Non era questo il punto del post, penso. Ma Instagram che rende rock i genitori proprio non lo reggo.

    Ciao!

    Giulia

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