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Visualizzazione dei post da luglio, 2017

Ai funerali

I funerali a volte si sono rivelate occasioni agrodolci. Certo, nessuno è mai entusiasta di andare a un funerale, perché significa necessariamente che ha perso qualcuno. Ma chiamiamo le cose con il loro nome. Morte. Non abbiamo perso, ci ha lasciato, se n’è andato o cristo l’ha accolto tra le sue braccia. È morto. È morta. Photo by   Marcel Schreiber   on   Unsplash Ma al di là della morte, dicevo, a volte i funerali delle persone che ho più care, sono stati delle mezze festicciole. Se la morte te la smaltisci da solo (io, per dire, ho somatizzato le settimane che hanno preceduto quest’ultimo funerale con ansie notturne, pianti incontrollati diurni, brividi, malessere), quando arrivi al funerale ormai sei pronto, lo sai che quella bara verrà calata sottoterra, e in fondo ti viene voglia di stringere le persone che hai accanto, che stanno soffrendo come te; oppure ti viene voglia di ricordare la persona che è morta, però non quando stava male, proprio quand’era completamente in

A volte vorrei essere sola

In passato, certe volte, mi sono sentita sola. È successo quando ero piccola, che avevo questa grande famiglia vicina, ognuno concentrato sui suoi problemi, e io e mio fratello eravamo in balia del caso, raramente ricevevamo un abbraccio, un bacio mai. Nessuno si occupava dei nostri sentimenti. Forse è per questo che io come madre, sono una che chiede sempre "cosa provi", e raramente "hai fatto i compiti" o "hai mangiato". Sono stata sola da adolescente, quando ho conosciuto l'amore, poi l'amore è finito, e io mi sono guardata attorno e non avevo più nessuno. E sono stata sola da adulta, come una madre può essere sola, quando deve proteggere la cosa più importante del mondo dai parenti, dal sistema, dai vaccini o dai bambini non vaccinati, a seconda della paranoia, dallo smog, dal freddo, dalla fame, dalla scuola, da se stessa. Ho provato, in certi periodi, il bisogno spasmodico di ricevere un abbraccio, o incontrare due occhi amici, e non d

Too much

Emotivamente è stata una settimana intensa, credo di poter dire difficile. Erano almeno sei mesi che andava tutto fottutamente bene. Era così, che avevo programmato il 2017: "goditela", mi ero detta. "Non risparmiare neanche un centesimo" "Quando è festa, festeggia. Anche quando non è festa, semmai" "E, più importante di tutto, quando stai bene, accorgitene". Dopo qualche mese però, avevo questa inquietudine di sottofondo. "Ecco, te la sei goduta, adesso pensa a come ottenere di più. Magari nel 2018 puoi spingere di più, migliorare, migliorare sempre". La scorsa settimana, avevo accumulato un concentrato di pessime vibrazioni che non mi faceva dormire la notte e mi faceva piangere la mattina in ufficio. 35 gradi fuori, i brividi di freddo sulle braccia, aspettavo cattive notizie che puntualmente sarebbero arrivate. Mi lasciavo andare ad atteggiamenti compulsivi, come strapparmi i capelli e nutrirmi di patatine. Mi venivano

Come ti faccio girare la bufala

Un po' meno di una decina di anni fa, prima di avere un blog, scrivevo su un giornale locale. A parte qualche figura di merda, mi ero abituata a verificare alla fonte quello che scrivevo. Era facile: parlavo di cronaca locale o di qualche lavoro pubblico, e per verificare il più delle volte bastava trovare il numero dell'assessore preposto, dell'architetto, dell'imprenditore, dell'organizzatore dell'evento. Mi sono accorta dopo che assessori e imprenditori tendevano a dire un po' di cazzate. Ma questo è un altro discorso. foto di kayla velasquez Al giorno d'oggi, se dici una cazzata, questa si diffonde non nei tre bar di BucoDelCulo ma presso migliaia di persone. Questo significa che anche se non sei un giornalista, e io non mi sono mai voluta iscrivere all'ordine dei pubblicisti, pur avendo scritto per diversi anni, devi prenderti un minimo di responsabilità per quello che vai dicendo. Non te lo dice la deontologia professionale, te lo dovre

Perché penso a Vasco Rossi?

Sarà che da qualche giorno i giornali locali raccontano che Vasco Rossi alloggia qui al Grand Hotel di Rimini, sarà che la prossima settimana invece ci saranno i Litfiba...insomma, in questi giorni mi sono messa ad ascoltare un po' di rock made in Italy, e specie mentre ascoltavo la voce di Piero Pelù cantare Proibito ( dice che è proibito, che è proibito anche pensare ), facevo alcune riflessioni, che poi ho un po' messo in ordine anche leggendo questo articolo che parla dei primi 5 album di Vasco , nei primi anni '80, venduti in poche copie e suonati nei posti più improbabili. Non gli stadi, e neanche i palazzetti dello sport, ma le feste dell'Unità, forse i locali. Non conosco davvero bene né i Litfiba né Vasco, ma, se i primi mi hanno sempre caricato molto, il secondo mi ha sempre provocato sentimenti contrastanti. Certo non mi colpisce la versione "anziana" del rocker: più bolso, più stanco, più mainstream. Non sopporto le sue canzoni più recenti, che p