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Elogio del "negative thinking"

Sia messo agli atti che il titolo non è propriamente provocatorio. Ho appena inventato la corrente filosofica del “negative thinking” non tanto perché credo nel valore della negatività, quanto perché considero limitante il “positive thinking” ma soprattutto l'“andratuttobenismo”. 

Occorre un’importante precisazione: dagli aggettivi negativo e positivo vanno espunti i giudizi di valore, nel mio ragionamento.

Quindi positivo è semplicemente il polo +, e negativo è il polo -. 


 

Il polo + è concentrarsi sugli aspetti della vita che evocano sensazioni che definiamo di benessere, ed è anche una visione delle cose edulcorata dalla speranza. 

 Vi cito Antigone di Sofocle:

La molto errante speranza a molti è di aiuto; per molti invece è solo inganno, impulso di menti leggere; si insinua in chi nulla sa, prima che il fuoco ardente gli bruci il piede. Fu saggio chi pronunciò questo detto famoso: a volte un bene appare male a colui la cui mente un dio vuole portare a rovina. Breve è il tempo che passa senza sciagura.

Il polo –, il pensiero negativo, è, specularmente, concentrarsi su come sono andate realmente le cose e analizzare con particolare attenzione ciò che ha evocato sensazioni che definiamo sgradite, per capire cosa possiamo fare per provare sensazioni diverse da paura o paranoia; oppure per epurarle dal nostro giudizio, drogato dall'ideologia e dall'esperienza.

Realizzare che siamo poveri e siamo nella merda non vuole essere un imbruttimento del reale. Essere poveri è una condizione scevra da giudizi di valore. Essere poveri non è necessariamente male, almeno quanto non è bene essere ricchi. 

È l’ideologia capitalista che dice che ricco è bello e povero è brutto. Il ricco compra cose e questo è bene, il povero non compra cose e questo è male. Il ricco può molestare il prossimo parcheggiando in divieto di sosta alla modica cifra di 50 euro, il povero agisce per evitare la multa. 

È l'esperienza di quella volta che ci hanno staccato la luce, che ci dice che essere poveri è brutto.
Certo: non avere di che mangiare è sempre brutto. Ma “essere poveri” è una definizione relativa. Anche la definizione assoluta che dice “essere poveri significa vivere con meno di un dollaro al giorno” è relativa. In Europa e in USA con un dollaro al giorno si è più poveri che con la stessa cifra in Africa, in compenso se sono povero in Italia forse ho diritto a una casa popolare e a dei buoni spesa, in compenso. Se sono povero in Asia forse potrei avere un orto che mi fornisce la sussistenza.

Ma sto divagando.

Torniamo ai nostri due poli: pensiero positivo e pensiero negativo.

Anni fa un’amica illuminata diceva sempre che “tutto è giusto”. 

Sulle prime me lo ripetevo senza capire davvero. Avevo erroneamente inteso il “giusto” nella sua accezione, boh, morale? Avevo appiccicano un giudizio di valore sul concetto di giustizia. Se tutto è giusto, allora tutto è buono. L’avevo inteso come accettazione di una realtà indipendente da me, quasi divina. 

Poi mi sono accorta che se togliamo il giudizio di valore dal termine giusto, ecco che “tutto è giusto” non implica più accettazione della realtà, ma astensione dal giudizio sulla realtà. 

Il mio spazzolino non è verde, bianco, comodo, scomodo, utile per lavarmi i denti o altro. È, punto. Sono IO che mi rapporto al mio spazzolino lavandomi i denti equindi lo definisco "utile" perché non amo avere i denti cariati. Ma potrei anche dire che lo spazzolino serve a farmi perdere cinque minuti ogni sera e che quindi non è un oggetto a me gradito.

Tornando al “negative thinking”, io credo che dovremmo smettere di censurare, come persone e come comunità, le situazioni che consideriamo sgradevoli e la gamma delle emozioni che proviamo. Non per lamentarci e scorticare le palle agli altri, ma per non raccontarcela. Per accettare la realtà.

Soffrire è solo una delle emozioni che si possono provare, a cui diamo un nome e una connotazione che evoca "qualcosa di brutto". Gioire è un’altra. Proviamo a descriverle. 

Cosa proviamo quando ci definiamo delusi? Io sento che mi viene una vampata calda e mi si mozza il respiro. Credo di fare quella faccia che faceva Camilla da piccola quando subiva una delusione, che io chiamavo la faccia del pulcino incassato. In pratica le si ritraeva il collo e faceva una smorfia quadrata, di puro orrore. Non è bene o male: è.

Potrei dire che la delusione è anche divertente, se penso al pulcino.

Cosa proviamo quando stiamo bene? Io sento il corpo rilassato, nessun pensiero per la testa, solo la volontà di godermi quel mio essere lì. Non è bene o male: è.

Potrei dire che essere tranquilli è negativo, se per esempio sto passando il mio tempo con una persona che in fondo non stimo. In fondo farei meglio a passare il pomeriggio a piangere leggendo una tragedia greca.

Cosa proviamo quando siamo preoccupati? Io sento lo stomaco contratto, il respiro corto, la mente che prende il possesso di tutta la realtà. Non è bene o male: è.

Potrei dire che essere preoccupati è positivo se permette di prevenire proattivamente possibili problemi.

Non voglio fare il guru, non sono certo una che dalla vita ha capito qualcosa, non ho manco fatto "percorsi spirituali". Non sono neanche particolarmente felice.

Sono solo una che si racconta la verità, anche quando la vita non è quello che vorrei. E di quella verità ne faccio queste parole, per quello che valgono.

È utile trovare qualcosa per cui essere grati ogni giorno, ma è altrettanto utile essere pragmatici e ammettere che cosa non è andato come speravamo; senza giudicare né l'evento, né quello che proviamo e chiederci se possiamo fare qualcosa per non essere più insoddisfatti sotto quell’aspetto, o almeno essere consci dell'insoddisfazione e pronti ad accogliere opportunità di cambiamento. 

Se io oggi ho tradito me stessa o non sono stata integra; o se una persona a cui voglio bene è triste o in loop, non voglio trastullarmi nella gratitudine di una maglietta nuova.

Essere hygge non è sbagliato, ma pretendere da noi stessi di accontentarci di una tazza di thè e un caminetto va bene nel weekend o nei periodi in cui non si riescono a prendere decisioni e non si vuole soccombere alla paranoia, ma come progetto di vita, io, personalmente, mi aspetto anche altro. 

Le ombre generano l'arte, ma anche l'evoluzione; la gratificazione che deriva dalla soddisfazione di un desiderio che non abbiamo, è pubblicità.

Noi, noi ladri di mille lire
Cercando il modo per non morire
Per non pagare le tasse
Per far passare la notte

(da Ci stiamo sbagliando, di Luca Carboni)

Commenti

  1. Interessante.
    Più che negativo però lo definirei positivista: descrivo la situazione per quella che è, o quanto meno per le sensazioni che mi evoca/suggerisce.
    Il mio approccio a riguardo però è condizionato almeno in parte dal famoso rinforzo (positivo o negativo) che si usa con gli animali, e che avendo un lupo cecoslovacco ho dovuto studiare ed imparare al punto da farmelo scorrere sottopelle.
    Ma divago.
    Condivido la necessità di un approccio concreto e realista, senza orpelli, e che permetta un'analisi lucida, purché sia base per un ritrovato equilibrio.
    Se assaggiando una mela la trovo disgustosa vorrei poterlo dire senza pensare al fatto che toglie il medico di torno, ma contemporaneamente il trovarla disgustosa mi serve a distinguere tra quella ed un ananas e scegliere quindi di mangiare quello. Se invece rimane solo il disgusto espresso senza altro scopo... è sterile.
    Diceva Show che "il potere di osservare accuratamente viene comunemente chiamato cinismo da coloro che non lo possiedono". In qualche modo mi sembra attinente.

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    Risposte
    1. Grazie, bella la frase sul cinismo.
      In realtà ho sparato "negative" in opposizione a "positive". Credo che il mio pensiero assomigli (anzi, è debitore) del pensiero stoico (Marco Aurelio, Epitteto).

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