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Da dove vieni?

E così vado a volte in questo laboratorio di sartoria di cinesi, che non so cucire neanche un bottone, non so.
Mia nonna ci aveva la macchina da cucire, il ritmo m’imbambolava, quel movimento meccanico, piede - mano, spingi - lascia, clink – clank, piede – mano, spingi -lascia, clink – clank.
Devo averci anche provato, a coordinare mano e piede, per ottenere quel tracciato regolare di filo sul tessuto, ma senza convinzione: io volevo essere qualunque cosa fuorché mia nonna, perché era infelice e si vedeva ad occhio nudo, lo vedeva anche una bambina.


Da una mostra del fotografo Ferdinando Scianna

Vado al laboratorio dei cinesi e ce n’è sempre una che cuce a macchina, con quel ritmo sul pedale, clink – clank, clink - clank. Un altro cuce e va anche incontro ai clienti, quando entrano insieme al traffico: pochi convenevoli, sa a fatica la lingua, valuta la riparazione, ti fa scrivere il tuo nome su un blocchetto con dei foglietti numerati, e dice solo “lunedì prossimo”, “sabato prossimo”.
Lavoro preciso, veloce, pagabile in moneta, regolare scontrino.
Non è che voglio sfruttare la manodopera cinese, è proprio che non so cucire niente, neanche un bottone.
Il pomeriggio in laboratorio c’è una bambina dell’asilo: parla italiano più del padre, prima o poi sarà lei ad accogliere i clienti. Guarda dei cartoni in italiano su uno smartphone, in una poltrona sporca in fondo alla sartoria tra i sacchetti numerati, pieni di tessuti; oppure gioca con una Barbie, l’ultima volta mi è venuta incontro col suo grembiulino rosa e me l’ha mostrata, allegra, confidente, una qualunque bambina dell’asilo.
Mi piacciono le persone umili; è un pregiudizio, il mio.
Penso a quando giocavo a Barbie sul terrazzo lurido, tra i sacchi della spazzatura. Non lo sapevo ma assorbivo generazioni e generazioni di contadini, il duro lavoro, la forza delle donne, l'ambiente a volte ostile, il valore di un piatto sulla tavola e di un bicchiere di trebbiano.
E quella bambina, spero che frequenterà il miglior liceo della città, e poi l’università.
Certamente lo farà, la sua famiglia la ama, l’ho sentito.
È per questo, che sua madre sta china sulla macchina da cucire, ed è per questo, che suo padre ha imparato un po’ la lingua per accogliere i clienti.
Frequenterà ragazzini italiani, prenderà una laurea.
Ma dentro di lei c'è quel laboratorio di sartoria; quel clink- clank ritmico, e quella poltrona sporca, le insegneranno tutto quello che i giocattoli, e i salamelecchi, e un bel salottino, e dei bei vestitini non sanno: le insegneranno da dove viene.

Commenti

  1. Ecco, io proprio non lo so come fai, sarà quel modo che hai di raccontare così sincero e senza fronzoli, sarà che anche io ho respirato nella mia infanzia l'infelicità e la forza delle donne, sarà quel che sarà, ma ti leggo e le lacrime scendono e so dirti solo grazie. Cristina

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  2. All'inizio del post pensavo che andassi in questo laboratorio per imparare a cucire... Anche qui dove sto io ce ne sono un paio, di quei posti che sanno di fritto con almeno un bambino sempre seduto nel retro. Come sempre sei stupenda da leggere, grazie.

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  3. Spaccati di realtà. Vera, semplice. Consola l'animo leggerti.

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