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Fuori dalle sabbie immobili

Allora l’altro giorno mi capita sta cosa: si voleva fare un giro al bellissimo evento faentino Argillà, ma pioveva che dio la mandava così, mentre io e le bimbe ce ne tornavamo a Rimini dico “ehi, perché non ci fermiamo al centro commerciale che vorrei tanto comprarmi una poltroncina per cominciare a chiamare casa questo posto dove siamo posizionate da due anni?”.

(vabbè, non vi dico cos’è il centro commerciale a Rimini, una domenica di pioggia ad agosto.)

Siamo finite a comprare delle scarpe da trekking per le bimbe, memori del nostro ultimo trekking invernale.

Perdonate la digressione, dopo la quale non ricorderò affatto di cosa parlava questo post, ma vale la pena raccontarvelo. Io e le bimbe non siamo delle vere escursioniste: noi, e soprattutto loro che hanno passato i loro primi dieci anni nella natura, a dormire in tenda al fiume o a camminare per la vena del gesso, siamo piuttosto gente che ama stare per i cazzi propri, e il bosco è l’ideale. Perché più cammini, più non pensi a niente. Davvero, provate. A camminare sulle foglie secche in autunno, a scovare un posto deserto, al fiume, d’estate. A passeggiare al mare, d’inverno.
La natura e la solitudine messe assieme sono davvero terapeutiche. Tuttavia per camminare nel bosco bisogna un minimo conoscere i sentieri perché se hai l’ansia di perderti non è più terapeutico.
Così, dopo aver passato anni e anni a vagare per i boschi in macchina con le bimbe, a Rimini mi sono unita a un gruppo di camminatori, dove ho peraltro conosciuto gente simpaticissima. Chi sta nei boschi, normalmente, è gente tranquilla, che non se la tira, non è come sperare di fare amicizia al chiringuito durante l’happy hour.
Ma io resto una non-escursionista. Una che ansima in salita, una che dopo le prime due ore di passeggiata si siederebbe volentieri a leggere un libro nei prati con le zecche. E una che va in passeggiata con jeans e scarpe da ginnastica.
Le bimbe idem, pensate che Carolina il mese scorso è stata all’Acquacheta con suo padre e siccome non aveva con sé le scarpe da ginnastica s’è fatta dodici km in infradito senza un lamento.
Insomma, all’ultimo trekking dell'inverno scorso è arrivata tutta questa gente che non avevamo mai visto, così io e le bimbe ci siamo messe in disparte ad attendere l’organizzatore. Nel mentre, tutti, e dico TUTTI, si sono messi scarpe da trekking, pantaloni tecnici, protezioni contro il fango e hanno imbracciato zainetto professionale e bacchette, mentre noi, in jeans e scarpe da tennis, sembravamo DAVVERO delle punkabbestia scappate da un centro sociale. Ovviamente le bimbe, dopo aver constatato che eravamo nello stesso gruppo degli escursionisti veri, non mi hanno risparmiato gli sguardi di disapprovazione (“ci fai sempre vergognare”).
Insomma, lì ho capito che almeno in inverno le scarpe da trekking ce le dovevamo procurare. Se non altro perché nelle Adidas bucate entra il fango.
Ma al centro commerciale ne era rimasto solo un paio, a quel prezzo. E mentre ero in fila alla cassa mi sono detta “Vale, ma in fondo a loro non frega un cazzo di fare trekking, forse un paio bastano, e le altre due restano a casa a guardare serie”.
Nel fare questo pensiero mi sono sentita la me di dieci anni fa, certo più sgangherata della trentacinquenne semi - cittadina che addirittura va a fare trekking con le scarpe adatte invece che in giro per boschi con le Converse.
Insomma, in coda alla cassa, ho avuto una piccolissima epifania su come sono cambiata negli ultimi due anni.
Forse sono cresciuta, o forse è proprio come mi sono detta appena arrivata qui: “Nessuno mi conosce e vorrei sembrare il più normale possibile”.
Sarà che due anni fa io e lui ci si piaceva e lui mi ha detto “Si vede che non sei come le altre, dico superficiale, si vede da come ti vesti”, e io ci sono rimasta un po’ male, perché volevo solo sembrare come gli altri, allora ho fatto fuori i miei vestiti usati, quelli più esagerati, dico.

Io voglio solo essere normale, voglio solo avere qualcuno che mi tenga per mano per strada e che sia come me, voglio stare a casa il sabato sera e svegliarmi presto la domenica mattina; non voglio attirare l'attenzione, non voglio che si parli di me; mi piace quando le persone, tipo i miei colleghi del piano di sopra, dici "Valentina" e loro rispondono "Chi?". Mi piace non conoscere nessuno quando esco per strada.

A casa mia a BucoDelCulo ci torno, a volte, e mi sembra una dimensione diversa, ovattata. Si sentono il fiume e gli uccelli, e le chiacchiere che fai con le persone sono, come dire, protette, senza sorprese, senza distanza, senza affettazione; ti abbandoni al calore di quello che sei davvero, mentre ti fai inghiottire dalle sabbie immobili di quello che gli altri pensano di te.

Commenti

  1. Posto che se scrivi un blog (e io ti adoro, eh!) ci tieni che la gente parli di te, ma delle cose per le quali sei sinceramente appassionata, e non ti noti invece per altre, ho la sensazione che per te la strada dell'autoaccettazione, anche fisica, sia ancora lunga. Ma appunto, è una sensazione, potrei sbagliarmi. A me dicono che sono bipolare perché vado quotidianamente in giro come una barbona, salvo poi infighettarmi e truccarmi che neanche Vogue (ma con capi da grandi magazzini) quando devo uscire la sera. L'importante è fare ciò che ci fa sentire a nostro agio, tutto il resto non conta! Per quanto riguarda le scarpe da trekking: vedile per quello che sono: uno strumento per evitare di farsi male, non un mezzo per dichiarare la tua appartenenza ad un gruppo o un modo per tirartela. ;)

    P.S. Sono un animale solitario anche io e adoro leggere e camminare nei boschi, quindi comprendo appieno.

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    1. No, non ho un blog perché voglio che le persone parlino di me, ma per parlare IO di me. :)
      E le scarpe, ti dico la verità, me le sono comprate per la vacanza a piedi che ho fatto a primavera e mi sono sentita supergrata a chi mi aveva consigliato di procurarmi almeno l'attrezzatura minima (compreso lo zaino). Ma per un'escursione domenicale di 10, 15 km io vado benissimo anche con le scarpe da ginnastica (no, le Converse magari no :D).

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  2. Per essere normali in certe situazione e', aggiungo io purtroppo, necessario aver bene interiorizzato il compromesso...a trovare uno che ti tenga per mano lo trovi, ma il problema e' che non vale la pena trovare uno qualsiasi, giusto per farsi compagnia.Altrimenti sarebbe pure facile.Almeno e' quel che penso io in fase di autoanalisi esistenziale!:)

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    1. Mah, a dire il vero a volte ho l'impressione che molti si impegnino ad apparire strani, non che facciano fatica a nascondersi tra la folla. Ma è probabile che il mio distinguermi dagli altri sia solo una mia impressione, anzi, una mia paranoia :)

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  3. A me fanno ridere quelli quelli che vanno a scarpinare con le converse tanto quanto quelli vestiti supertecnico dalla testa ai piedi per fare una camminata di qualche ora. Per il resto bisognerebbe avere la forza necessaria per essere se stessi in ogni situazione e indipendentemente da ogni commento altrui

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    1. Ma no, nessuno ha commentato, stavo solo descrivendo un episodio visto da fuori, mi diverte raccontare cose, tutto lì. :)

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  4. io dico che dovresti comprare le scarpe per tutte e tre, comunque.
    anna

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    1. Lo farò. In quel momento c'erano i saldi e non ne ho trovate 3 del loro numero.

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  5. Se ti capita di venire a milano o dintorni per lavoro, attaccaci un weekend che andiamo a camminare zona mia (Como ma anche Lecco). Per il resto.. boh.. quando ero piccola i miei mi portavano in montagna e l'abbigliamento tecnico non esisteva: Tuta di cotone e maglioni di lana; però ammetto che la roba di adesso è super comoda, si lava in fretta, asciuga in fretta. Obiettivamente quando comincia a fare freddo è piuttosto utile.

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  6. Ciao, sono capitata qui per l'effetto pinterest (clicchi lì, poi là, poi ti colleghi a quel link e nella pazza piazza che è internet, ho trovato questo blog e letto questo post, e, nonostante io non volessi fare la rockstar, mi sono ritrovata in alcune cose.
    Il desiderio di essere anonima nella vita: perchè è garanzia di libertà
    La passione di scrivere di sè non come attività narcisistica, ma per tenere traccia della propria storia, e anche come terapia, senza rinunciare al confronto che consente il blog (e che il diario sotto il cuscino non ti darà mai) e anche col vantaggio di rimanere comunque un pò anonimi, senza riferimenti che ti facciano geolocalizzare.
    Anche a me piace non riconoscere nessuno quando vado in giro, a parte alcune categorie: una di questa è il barista. Che mi saluta e mi prepara il caffè come piace a me, e mi fa sentire accolta.

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