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Un sogno che resta nel cassetto

Leggo spesso blog o pagine di donne (non so perché quelle che leggo sono tutte donne, actually) italiane, in genere mamme, espatriate nei luoghi più reconditi e impervi e lontani, o anche solo in Europa, a poche ore di volo da casa.
Le leggo perché ho desiderato scapparmene altrove sin dalla più tenera età (mentre ora, chiedendo alle bimbe, scopro che non tutti i bambini desiderano solo andarsene di casa, per fortuna), eppure non l’ho mai fatto.

Casa :)

Non l’ho fatto per motivi logistici che ora mi paiono superabili. Non l’ho fatto all'università perché nessuno poteva mandarmi un assegno mensile con cui avrei pagato le spese. E questo era superabile, dal momento che ho provveduto prima ad alcune, poi a molte delle mie spese (macchina, scuola, divertimento) dai 15 anni in poi.
Solo che avevo la paura (certamente giustificata ma, ora lo so, superabile) che se avessi dovuto coprire il costo di un affitto mensile, forse non sarei più riuscita a pagarmi il dentista se c’era bisogno, oppure avrei dovuto rinunciare a uscire, o alla macchina, o a tutto.
Così all'università mi preparavo per il dopo. Studiavo Scienze Politiche, indirizzo diritti umani, e credevo che poteva aver senso provare a fare una missione all’estero con una ONG, mi informavo. O un master a Buenos Aires, se la borsa di studio per reddito e merito l’avesse coperto.
Ma la sera prima dell’esame di storia dell’Africa Subsahariana, il test di gravidanza.
Il babbo delle bambine allora viveva a Sanremo, e pensai per un po’ di trasferirmi in Liguria con le gemelle, magari continuare l’università, fare la specialistica.
Ma lui decise di tornare a Faenza, ci comprammo una casetta in collina, e non se ne parlò più.
Per dieci anni, quello che volevo, me lo sono completamente dimenticata.
Sono passata dalla casa di nonna, piccolissima e affollatissima, a una famiglia di cinque persone, proprio io, che ho sempre agognato la solitudine.
Come sapete, un giorno ho deciso che per me e per le bambine, era arrivata l’ora di togliersi la claustrofobia di dosso, e abbiamo lasciato la nostra casetta e la nostra vita protetta, per spostarci di un centinaio di chilometri, in città.
Ma forse non sapete che prima di andare ho mandato curriculum anche in Francia, e in Inghilterra.
Mi sarei spostata ovunque. Ma mi hanno chiamato per un lavoro molto bello e poco distante, e ho accettato, era certo più facile che spostarsi fuori dall’Italia.
Quando leggo i blog degli expat, vi trovo un coraggio e anche forse una serie di casi che nella mia vita non si sono verificati.
Non nascondo che ho questo grande rimpianto.
Ma non sono invidiosa, anzi, traggo ispirazione e mi chiedo, con un po’ di paura, ma anche tanta curiosità e voglia e ammirazione, che cos’è ritrovarsi stranieri, e che cos’è ritrovarsi soli.

La mia famiglia è fottutamente ingombrante, ma è anche fottutamente unita e solida. Ora lo so.
Vedere le ragazze serene è il più grande riscatto per chi, come me e i miei familiari, ha visto anche il degrado, la mancanza di opportunità, la provincia claustrofobica, la fatica di arrivare a fine mese. Ce la mettiamo tutta, tutti.
Quando leggo i blog degli expat a volte mi sogno via, lontana, libera.
Mi chiedo se per le bambine sarebbe un’opportunità trovarsi in una grande città e imparare una nuova lingua, e credo di sì, anche se qui, devo dire, vivono una vita felice, magari con pochi soldi, ma con tanto amore e tante cose belle, magari piccole, ma che a me sono mancate.
E credo che sarebbe un’opportunità anche per me.
Ma ho deciso che non è il momento di farlo, e, anche se mi frulla nella testa piuttosto spesso, ho deciso che per qualche anno questo non succederà, e la voglia di aprire le ali verrà ancora accantonata.
Mio fratello, qualche giorno fa, mi spiegava quanto viaggiare non lo soddisfi completamente. Mi raccontava che sente di dare il massimo quando non è solo lui a crescere e a conoscere, ma anche gli altri, grazie a quello che fa ogni giorno. Le bambine, le persone che guida per le città, le persone che partecipano ai suoi eventi.
E ho capito che sì, sto rinunciando a qualcosa che ho sempre desiderato e che mi farebbe crescere, mi cambierebbe.
Ma sono qui. E ora so perché.

Commenti

  1. Anche io leggo con piacere i blog delle donne emigrare all'estero, anche se non c'è mai stata la volontà di espatriare. Mi piace per trarre ispirazione e vedere che ci sono altri modi di vivere, mangiare e vestirsi. E si vive bene comunque.
    Complimenti per te e le figlie.

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    1. Secondo me, se vivi all'estero, metti in discussione tantissime cose che prendevi per naturali e parte di te, come un braccio o una gamba.

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  2. Ehi, sono qui Anch io!
    ...Non è male! E si mangia benissimo. Ricordatelo sempre. Che mangiare è importante!

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    1. Ma infatti, se vado in vacanza dopo 5 giorni senza pasta comincio a sentire la mancanza della cucina di casa, e dire che vado pazza per qualunque cibo etnico.

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  3. Ma che pavimento lucido! Io ci ho provato, a espatriare. Dopo l'Erasmus (lavoricchiavo, ma senza i miei che mi pagavano l'affitto non avrei potuto farlo, e non li ringrazierò mai abbastanza) ho pensato "finisco la triennale e vengo a vivere a Berlino". Appena tornata dall'Erasmus.. conosco il mio futuro marito. Specialistica in Italia, poi andiamo un po' via insieme, magari in UK... dieci giorni dopo la discussione della tesi dei 5 anni, pam!, sono incinta. Anche il nostro sogno è un po' rimasto nel cassetto, ma questo post rispecchia molto come mi sento anche io. Mancavi.

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    1. Davvero bello (e che fortuna)... Da quando ho letto questo tuo post, nei ritagli di tempo vado a spulciare blog di expat.

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  4. Anche io leggevo spesso i blog di donne expat e li trovavo, in media, desolanti: il 70% di queste donne (vado un po' a spanne, eh) è approdato all'estero come parte del bagaglio del marito/compagno, né di più né di meno - infatti ho smesso di leggerli, mi mettevano a disagio. Ma il tuo post è su altro e racconta una storia molto simile alla mia. Bello come sempre.

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    1. Ma sai, credo che essere "lontani" da quello che si conosce sia sfidante per chiunque, indipendentemente dalla propria situazione familiare. Poi se a questo aggiungi i figli, la situazione diventa più complessa. Poi se aggiungi la necessità di portare a casa il pane, è ancora più complessa, e così via :). E credo anche che seguire il compagno, magari rinunciando a lavorare, sia una scelta rischiosa per chiunque e per molte anche sofferta :)

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  5. Spero che capiterai anche sul mio! Abito a Bruxelles dal 2010, anno in cui ho iniziato a scrivere il mio blog. Li' c'e' tutto il mio percorso, dagli inizi difficili in una multinazionale che non mi si addiceva, al sogno lavorativo perseguito e raggiunto, pro e contro di una vita all'estero, nostalgia, relazione a distanza...e infine anche la mia bimba.

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  6. Ho seguito molti blog di expat e in quelli letti da me erano sempre mogli espatriate per seguire il lavoro del marito. Insomma bello, per carità, ma vuoi mettere espatriare perché la decisione è la tua e non " l ammore"😂. Un abbraccio

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  7. Ti ho scoperta 6 anni fa appena prima di avere mio figlio e ti ho ammirata da subito. Ti invidio anche, perché ce l'hai fatta da sola: indipendente da sempre, forte nonostante le prove della vita, 3 bambine avute giovanissima, scrivi da Dio, hai un lavoro che ti piace, una casa. Io sono emigrata 13 anni fa appena dopo la laurea (mantenuta in casa da mamma e papá fino a 23 anni) e ultimamente penso molto spesso di aver sacrificato serenitá e affetti a un progetto che ha dato risultati soddisfacenti dal di fuori, ma che mi ha fatto diventare esattamente quello che non volevo essere. Credo che la realizzazione personale stia nell'arrivare a fine giornata (o mese o anno) e trovarsi contenti per ció che si é fatto e e con speranza ed aspettative di ció che verrá, che tu sia a Faenza, nella steppa russa o a New York. Ti scrivo da una cittá, Barcellona, meta ambita di tanti connazionali, che da tempo mi ha profondamente delusa col suo gretto provincialismo e classismo e in cui da tempo ho smesso di verderci il glamour di capitale moderna ed europea che fa finta di essere.

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