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Differenze tra la scuola e la vita

Recentemente è assurto agli “onori” di quello che potremmo chiamare dibattito sul web, un padre che avrebbe consegnato, il primo giorno di scuola, una lettera agli insegnanti dove comunicava che durante l’estate aveva preso la decisione di non far svolgere i compiti al proprio figlio in quanto avrebbe avuto di meglio da fare, come riposarsi, aiutare a casa, godersi la vita.
A questo sono seguiti dli schiamazzi dei pro compiti (in quanto insegnare ai propri figli il rispetto delle regole e degli insegnanti si rivelerà indubbiamente utile, e lo penso anche io, disciplinata di natura quanto allergica alle regole) e dei contrari (tutti noi genitori abbiamo almeno una volta, sospettato che i compiti fossero una punizione per noi che abbiamo il weekend libero dal lavoro).



Personalmente, non ho mai avuto esperienza di vacanze estive sommerse di compiti (i weekend invece sì), e trovo che effettivamente allenare qualche volta il cervello, in tre mesi, sia utile e non porti via troppo tempo a gioco, riposo e altre attività importanti.
Le letture obbligate mi piacciono meno, ma riconosco che, come mi ha fatto notare una cara amica prof, non tutte le famiglie sono in grado di incentivare i figli in tal senso e che la lista dei libri da leggere ha un suo senso.
Detto questo, e premesso che la lettera del padre e le risposte dei prof sul web paiono tanto dei siparietti “acchiappa like”, una cosa mi ha sempre stupito, della scuola.
Una volta che l’ho terminata, infatti, ho avuto l’impressione che l’ambiente scolastico ma anche, non nel mio caso, la famiglia, avesse dato eccessivo peso a fatti, comportamenti e omissioni che nella vita poi si sono rivelati eventi di scarsa importanza.
Insomma, per quanto apprezzi, e come potrei non farlo? – parte degli insegnamenti ricevuti a scuola; e per quanto sia grata alla possibilità diffusa di studiare, ritengo che la vita si è rivelata molto diversa dalla scuola. E non solo la vita, anche il lavoro, sul quale a me è richiesta più creatività e problem solving che rispetto ferreo delle regole.
Per questo non ritengo una mia prerogativa genitoriale un’eccessiva pressione su compiti e voti.
Perché secondo me la scuola è diversa dalla vita? 

  1.  Perché nella vita, essere il primo della classe non sempre è premiante, ed è una scelta che uno fa e non quello che tutti si aspettano da te. Sul lavoro, almeno quello dipendente, si può scegliere di terminare l’impegno una volta timbrato il cartellino, oppure di dare di più. Ma quando si dà di più, lo si fa a discapito della propria vita. Può valerne la pena o no, e un adulto può scegliere. A uno studente invece è richiesto di sacrificare la propria vita a favore dell’impegno scolastico. Lo sport si fa dopo aver fatto i compiti. Gli amici non sono una giustificazione. Le esigenze della famiglia vengono messe in secondo piano. Un ragazzino non può scegliere quali sono le proprie priorità fuori dalla scuola, perché la scuola ha deciso che “il dovere” è l’unica priorità possibile.
  2. Nella vita non si viene costantemente giudicati. O meglio, gli altri ci giudicano, ma le persone che vivono bene, NON possono permettersi di occuparsi costantemente del giudizio degli altri.
  3. Nella vita, se una persona comunica qualcosa e i suoi interlocutori non capiscono, si presuppone che la comunicazione sia stata fallimentare. Magari anche i prof se lo chiedono…ma i 4 e i 5 in genere rimangono sul registro e fanno media. 
  4. Nella vita, gli “insegnanti”, non sono coloro che stanno facendo un lavoro e che occupano una posizione, ma coloro che rappresentano esempi virtuosi. Altra enorme “insegnante” è l’esperienza diretta.  
Con questo non voglio dire che la scuola non sia una palestra di vita; ma non lo è solo in positivo, e soprattutto, secondo me, rappresenta solo una parte della “palestra”. Quantitativamente considerevole, qualitativamente…un po’ meno.
I prof che sono riusciti a interessarmi e coinvolgermi sono stati la minor parte dei miei prof, eppure sono una persona curiosa.
Chi ha influenzato il mio modo di essere non sono stati praticamente mai dei prof. E, escluse le basi, la mia cultura (che non è di alto livello e non lo sto dicendo con falsa modestia: non lo è davvero) viene dai libri, che non erano quasi mai nella lista dei consigliati.  A parte all’università.
Dalla scuola ho tratto le basi della grammatica, del francese, molto meno dell’inglese; la passione per la letteratura; l’interesse per l’approfondimento della storia, della sociologia, della politica. Ma, fino all’università, ho ricevuto un’istruzione che ritengo assolutamente parziale e spesso di basso livello. Se mia figlia prende 6 in un tema, non me la sento di giudicarla un 6 nella vita.
Sotto al 6 dico “sembra che non la verifica non sia andata bene: “pensi che avresti dovuto impegnarti di più?”; sopra al 6, dico “brava”.
Raramente uso il termine “insegnare” o “imparare”; anche se questo nulla toglie al rispetto che ritengo debba essere dato a tutti i lavoratori; all’importanza che potenzialmente gli insegnanti hanno; alla mia convinzione che le mie figlie non debbano portare le mie bandiere e le mie idee.
Degli insegnanti mi piacerebbe anche sapere, oltre a quello che pensano di mia figlia, anche che cos’hanno studiato, a che cosa sono interessati, che cosa stanno leggendo. E non perché io vado dai lavoratori a chiedere di dimostrarmi di essere preparati, ma perché influenzano la percezione che le mie figlie hanno di se stesse. E non ritengo di dover avere un'alta considerazione di loro di default: la stima si guadagna.
Voi che ne pensate?

Commenti

  1. Un certo Seneca scriveva "non scholae sed vitae discimus", almeno così riportava il mio dizionario di latino. Penso che più delle nozioni, sia importante far capire agli alunni un metodo di studio, l'organizzazione dello studio in funzione (purtroppo) del tempo tempo: questo è il vero insegnamento della scuola.

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    1. Mah, non sono del tutto d'accordo. Ognuno ha il suo modo di capire e quindi il suo modo di studiare...

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  2. Molto d'accordo sulla tua ultima riflessione.
    Poi, per esperienza personale, ho trovato come te veramente pochissimi professori in grado di appassionarmi a qualcosa. Il che è un po' triste, perché uno che fa questo mestiere secondo me dev'essere spinto da una gran voglia di fare. Da un sogno, quasi. Bisogna ammettere però che dopo anni e anni di studenti spesso terribili immagino che il fuoco iniziale si possa spegnere.

    CervelloBacato

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    1. Ma sì, dev'essere certamente dura anche per loro passare la vita con i ragazzini. Io per dire, non lo vorrei fare :D

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  3. Io ho finito tutte le scuole sempre con il massimo dei voti. Studiavo il giusto, non davo più di quanto mi chiedevano. Ma soprattutto, non so come facessi all'epoca e non so perché non sia più capace di farlo oggi, io intortavo. Ero una grandissima paracula. A ogni modo i compiti suvvia tutti quanti li abbiamo fatti i compiti (chi più chi meno). Tutti quanti all'epoca si faceva il libro delle vacanze l'ultima settimana prima del rientro a scuola. Tutti quanti noi si aveva rispetto degli insegnanti (salvo rari casi). Io ho amato molto gli anni del liceo, i più spensierati e produttivi e pieni di speranza. Poi subito dopo il liceo la catastrofe. Tipo la vita che arriva tutta di botto proprio all'interno della scuola. (Così poi di botto ho perso un certo rispetto per gli adulti e una certa fiducia negli insegnanti). Ma questa è un'altra storia.

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  4. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  5. Di tutti gli insegnanti di una vita ricordo solo quello di italiano e latino al liceo e di diritto penale all'Università! pochi, no? E sono stati fondamentali perché mi hanno dato anche grandi insegnamenti di vita....i compiti...fatti sempre l'ultima settimana, o meglio, ce li dettavamo al telefono! E poi, in ogni caso, mai pensare che ognuno di noi sia il suo voto!tu sei un6. Un8 o magari insufficiente. si dà troppo valore alla scuola da questo punto di vista, e troppo poco a quello che davvero dovrebbe darci, la curiosità. Emanuela

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  6. Sono parzialmente d'accordo. Secondo me il desiderio di avere prof che ti motivino entusiasmandoti sono un mito della nostra epoca: per parlare di me, fino alla terza elementare, ho avuto un maestro molto sessantottino, di quelli che "l'importante non sono le nozioni ma la libera espressione di ogni bambino". Tutto molto bello, però non sapevo mica leggere così fluentemente e non sapevo impostare due righe per parlare di me. Poi in quarta è arrivato il maestro rigido e attento alle regole, ed ecco che proprio le regole di grammatica cosi odiose mi hanno aiutato a mettere ordine nei miei tumulti emotivi. Fino a consentirmi di esprimermi.
    È solo un esempio, però voglio dire che per i miei figli preferisco un professionista serio piuttosto che un missionario spinto dal sacro fuoco. Vorrei la sostanza, anche grigia e poco attraente, anche faticosa, piuttosto che uno scintillante pasticcio. Quando ho studiato latino, prima ho memorizzato le regole, poi ho gioito di saper tradurre Catullo perché Catullo era bello ma prima occorreva sapere rosa rosae.

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    1. Completamente d'accordo con te. Laura

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    2. Guarda, non farei una distinzione così manichea tra creatività, bella e inutile; e le regole, brutte e utili. Magari c'è gente che ti può aiutare a imparare le regole senza umiliarti e facendoti capire che sono utili.

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  7. Il problema è l'approccio della scuola: la scuola potrebbe essere come la vita, ma non è impostata per esserlo.
    A ogni ciclo di studio lo studente inizia con curiosità dopo poco questa crolla e solo i più diligenti o (auto)motivati riescono ad affrontare tutto con la stessa grinta, la maggior parte invece lo fa perché non ha scelta.
    Il mondo della scuola, in generale, dovrebbe riflettere e cercare di capire come tutto questo potrebbe cambiare con pochi semplici accorgimenti, ad esempio mettendo l'individuo al centro e non solo il programma, o selezionando i docenti con competenze di insegnamento e non conoscenza delle discipline.

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    1. Oltretutto la diligenza e altre qualità che la scuola incentiva, non sempre si rivelano così utili nella vita, anzi.

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    2. Umiliare mai, certo. Nessuno riesce ad imparare nulla attraverso l'umiliazione. L'umiliazione è atroce e per di più inutile. Imparare l'utilità delle regole è cosa lieve come osservare la natura e accorgersi che tutto ha un senso, anche se all'apparenza tutto è caos. È come scoprire i segreti. Certo, poi imparare le regole è faticoso e noioso e qui sta l'inghippo. Ma le regole sono lo scheletro attorno al quale si distribuisce la bellezza

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