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Incontri sotto al ponte

Ehy, non sono sparita, è che non ho internet a casa, o meglio, alla fine mi sono presa una specie di hotspot ricaricabile ed è la prima volta che lo uso. E al lavoro in genere non uso internet per i fatti miei, non perché io sia incatenata come nel mio ufficio precedente, ma semplicemente perché ci ho sempre da fare. Ho scritto un paio di post ma non avevo la rete per pubblicarli. Nei prossimi giorni magari li pubblico, anche se non mi piace pubblicare post vecchi, infatti qui su blogger avrò qualche centinaio di bozze, credo.

A dire la verità scrivere ora non mi manca, ma mi rendo conto che la mia capacità di pensiero creativo, che è uno tra i miei punti di forza nella vita, ne sta risentendo, perché non trovo mai un attimo per distendere i pensieri, tradurli in linguaggio, e le idee se ne restano sempre tutte ingarbugliate, in un angolo.
Va tutto bene, comunque. Aver cambiato città è molto bello, lo aspettavo da sempre credo. Poi Rimini. In questo momento è proprio la città dove vorrei essere. Non mi era mai capitato prima. Una volta ve ne parlo.

Poi niente, c'è una cosa che mi fa stare particolarmente bene e una che mi sta facendo un po' male, ma ora non volevo parlare di questo, magari un'altra volta, che qui si ha da andare in spiaggia.
Volevo parlare di una cosa che mi è successa un paio d'ore fa.
Io e le bimbe (che ormai non sono più bimbe) siamo state in biblioteca e poi in questo parco silenzioso che si affaccia sul Ponte di Tiberio, dove ci sono un sacco di maschi a petto nudo che fanno gli esercizi ginnici mentre le mie bimbe fanno cose da circo tipo hula hoop, twirling, oppure si appendono alle anelle e fanno delle figure sospese in aria.
(io in tutto ciò mi sforzo di fare due esercizi mentre con la coda dell'occhio fisso i palestrati - che per le spalle larghe ci ho un debole - poi svengo a terra guardando il cielo blu, e, a seconda, mi metto a telefonare o a leggere, con quel poco di concentrazione che non dedico all'osservazione dell'ambiente circostante)
Dicevo, all'ora di pranzo, facciamo per tornare a casa, in bici. Pedaliamo lungo il fiume, a un certo punto si passa sotto al ponte e sotto al ponte c'è un tizio forse del Bangladesh, che fa la pipì tra le canne e accanto ha un cartone dove credo dorma, e forse delle borse di plastica con le sue cose. Io ho accelerato, non perché ho paura, ma perché boh, insomma, lo avreste fatto anche voi credo, no? Credo di aver accelerato per pudore, per riservatezza mia.
Passato il ponte mi giro e manca una figlia. Mi fermo, aspetto trenta secondi nel caldo di mezzogiorno, torno indietro e scopro che è caduta dalla bici, la bici è ancora a terra e lei s'è sbucciata una mano, piange ed è strano perché in fin dei conti s'è solo sbucciata una mano e Carolina non piange mai per queste cose. Il tizio che stava facendo la pipì è lì accanto a lei, con una bottiglia di alcol denaturato e vuole medicarla, io dico alla bambina di risalire sulla bici e di muoversi, e lei è in lacrime, si capisce che è spaventata, e lui si gira verso di me e ha gli occhi pieni di lacrime e mi dice in italiano stentato qualcosa come non vede che s'è fatta male, perché non la carica e guida lei. Io non sono più una che ha paura degli altri ma quando sono con le bimbe il mio istinto di protezione è forte, dunque ragiono velocemente, come una leonessa con i leoncini e penso che no, non posso caricarmi Carolina, trascinarmi dietro la bici, e farmi seguire dalle altre due, e penso che mi trovo con tre bambine sotto a un ponte con uno sconosciuto e che Carolina dovrà sopportare il bruciore, risalire velocemente sulla bici, e pedalare per altri dieci minuti, fino a casa, anche se è spaventata e ammaccata.
Dunque la incito forse troppo bruscamente, lei piange, lui piange. Ripartiamo veloci, ma no, a Lucia nel frattempo è caduta la catena. Io sto per dire due madonne, lei è tranquillissima, gira la bici e manetta, poi arriva di nuovo lui, e le sistema la catena e anche un raggio (o forse in italiano dite razza, possibile?) che s'è sganciato. Io ormai non so che pensare e che dire, non faccio niente, guardo la scena, poi sento il telefono vibrare e ci sono messaggi e chiamate senza risposta e mi chiedo se la gente possa sopravvivere senza di me qualche ora ma sono un'automa annichilita e rispondo pure a un messaggio del Donatore.
La bici di Lucia è a posto, lui ha ancora le lacrime agli occhi, mi chiedo a che cosa pensi e come si senta, e se è turbato dal fatto che lui vorrebbe aiutare e invece io chiaramente voglio solo scappare.
Penso che dovrei offrire dei soldi ma poi sono un po' turbata un po' annichilita e poi penso sempre che i soldi siano offensivi, poi penso anche che solo un piccola imbecille potrebbe pensare, in questa situazione, che i soldi fanno schifo, ma comunque, mentre, congelata, mi ripeto mentalmente che sono proprio imbecille, riesco solo a balbettare "grazie". Ora mi chiedo se non potrei almeno portare una coperta e qualcosa da mangiare.
Lucia mi dice che abbiamo incontrato proprio un buon uomo.

Commenti

  1. Se è uno che spesso sta sotto quel ponte magari è conosciuto dalla gente del posto. Prova a informarti se magari è conosciuto o seguito da servizi sociali o associazioni di volontariato.
    E se ripassi di li e lo vedi ancora, se vuoi, oltre a un panino puoi offrigli anche un sorriso. Spesso quello che fa male è il sentirsi invisibili.

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    1. Lo so, quando avevo vent'anni ho passato un anno a leggere trattati di sociologia sui senzatetto.

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  2. vabbè all'inizio ci sta la reazione da leonessa ma mentre aggiustava la bici avresti dovuto calmarti, respirare lentamente (col diaframma sennò non serve a niente) e capire che quel tizio è un bullo.
    Domani portagli un pò di cibo buono fatto da te, è la cosa migliore che puoi fare.
    Fai i dolci?

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    1. Sì ma capiscimi, sei sei da sola, vedi che ti butta male e te ne vai, se sei con tre bimbe, vedi che ti butta male e una cade, a una scende la catena, l'altra ha una vescica e non riesce a pedalare...diciamo che se volessi fare rapine non mi porterei le bimbe dietro ecco, e neanche in luoghi isolati sotto al ponte.

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  3. tra l'altro mi è partita una riflessione perchè nel mio paese ci sono decine di immigrati che fanno l'elemosina fuori dai supermercati, spacciano o si guadagnano da vivere non so come, e poi ce n'è uno che vive nel boschetto, vicino al fiume, in una capanna che s'è costruito da solo.
    Beh, tra tutti sti tizi strani scuri e puzzolenti lui è quello che fa meno paura. No?
    La gente che vive sotto i ponti di solito è bella gente, son quelli che rubano spacciano e intrallazzano per avere un tetto sulla testa che sono pericolosi.
    Si? No?

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    1. Mah, io credo che chi sta sotto al ponte o chi spaccia, in molti casi non l'ha scelto. Se invece prendiamo una persona che ha scelto di non avere una casa e una persona che ha scelto di avere una casa e di vendere eroina per mantenerla, ecco, allora meglio il primo. Ma statisticamente, secondo me, quello che vende l'eroina in genere la vende per comprarsi l'eroina e non per mantenere una casa.
      Io comunque rispetto tutte le scelte.
      Ma spesso queste non sono scelte, ecco, dunque mi spiace e basta.

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    2. Ho scritto un post in cui dico che ho riletto il piccolo principe e De saint Exupery mi ricorda Vonnegut. Mi piacerebbbe sapere che ne pensi

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    3. In realtà ti avevo già letto ma non ho commentato. Lo faccio :)

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  4. Ciao Valentina, come ti sei comportata è molto naturale, e capita di ritrovarsi spiazzati dalle cose che succedono, siamo tutti esseri umani.. credo che avrei reagito nella stessa maniera se fosse capitato a me.
    Trovo anche molto valide le soluzioni proposte da Marta.
    Un abbraccio
    Eli

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  5. Anche io inizialmente avrei reagito per fuggire, ma poi quando lo hai visto in lacrime che sistemava la bici della bimba.. non so..
    Se fossi in te ed hai voglia, forse gli porterei qualcosa, magari fagli presente che c'è la caritas (informati dov'è) e se non ha mai chiesto assistenza, di provare...

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