Passa ai contenuti principali

I nostri figli e la musica gratuita

Ora che le bimbe e i loro coetanei diventano ragazzini, stanno cominciando a delinearsi nella mia percezione le caratteristiche di una generazione che i soliti amanti delle etichette chiamano nativi digitali o millennial.
Mi sento un po' vecchia a cercare di interpretare e definire le cose che succedono,  invece che esserne parte, buttarmici a capofitto; però se ci pensate è sempre meglio osservare la realtà, l'immaginario condiviso, i sogni e le aspettative di qualche milione di persone, piuttosto che essere vecchi dentro e decidere che noi siamo meglio, che loro sono troppo piccoli per capire qualcosa, che ai nostri tempi...
Prendiamo la musica, da sempre simbolo delle epoche, collante tra pari, patrimonio identitario degli adolescenti.

Per i nostri figli la musica è scontata, universale, gratuita. Non esiste quello che succedeva quando ero adolescente io, e cioè che non avevo i soldi per comprare i cd. Il diritto d'autore è, per loro, una gabella astrusa del mondo dei grandi. Loro stessi sono grandi produttori, oltre che consumatori, di creatività e intrattenimento. Tecnicamente si chiamano prosumer.



Non mi oppongo a questa visione, pur essendo io stessa una creativa; anche perché trattasi di una realtà condivisa da un'intera generazione, e non una nicchia che si può soffocare in nome di diverse visioni del mondo.
Certo, quando ho trovato qualcuno che copiava quello che scrivevo mi ha dato fastidio; certo, se una pubblicità usa la tua musica, le tue foto, le tue parole, pretendi che ti paghino.
Ma credo sia bello e abbastanza sano che con l'internet, chi paga non è necessariamente il fruitore, semmai il committente.
Lasciamo da parte tutti i quesiti che potrebbero venirci in mente, come la qualità di un'informazione tenuta in vita praticamente solo dagli inserzionisti (che poi, con la carta, era un po' diverso ma non radicalmente diverso); dicevo, prendiamo solo l'esempio della musica che sennò questo diventa un libro e non un post.
Ovviamente chi ha un interesse piccolo oppure grande nella vendita dei cd, non vede di buon occhio Spotify, Vevo, Youtube e compagnia bella. Vede minacciato il proprio posto di lavoro o la propria ricchezza. Parla di pirateria. Parlava, perché ora non c'è più nulla d'illegale, nell'ascoltare musica gratis. Oppure rivendica il diritto degli artisti di essere pagati, perché noi ascoltatori in qualche modo, acquistando musica, acquistiamo una sorta di bene o servizio.
La verità è che non ha più alcun senso il modello secondo cui i consumatori hanno un bisogno, qualcuno produce un prodotto o un servizio per colmare il bisogno, il consumatore paga per avere quel prodotto.
La verità è che siamo a un livello di complessità molto maggiore.
Ora funziona così:
Io ho bisogno di musica e di intrattenimento, tu produci musica, in milioni ascoltiamo la tua musica, e tu, musicista, siccome puoi vantare milioni di fans, vieni ingaggiato per la colonna sonora della pubblicità del gelato, così chi vende il gelato si aggiudica la titolarità del tormentone dell'estate 2016. Noi forse compreremo più gelati (non vi so dire quanti gelati compreremo in più grazie al tormentone, però vi posso dire che certamente quel tormentone ce lo ricorderemo per un pezzo, probabilmente associandolo mentalmente al gelato), l'artista verrà lautamente pagato, anche se non direttamente dai suoi fans, e la gente continuerà ad ascoltare musica senza pagarla.
Chi ascolta non paga, ma i fans sono un patrimonio rivendibile.

L'altro giorno, su Rolling Stone leggevo di un libro (Free, Einaudi) che spiega come la mia generazione ha ucciso la musica, essenzialmente tramite la pirateria. Non è vero un cazzo che abbiamo ucciso la musica. Abbiamo ucciso la vecchia industria musicale. Che non era necessariamente rappresentativa di un ideale di auto-espressione, quanto del solito ideale del profitto, che io ho l'impressione (sicuramente sbagliata, sicuramente dovuta al fatto che frequento quasi solo gente bella) che ai miei coetanei interessi un po' meno che ai nostri genitori.
Tra parentesi, ho letto Rolling Stone senza sborsare un centesimo, però ho generato, indirettamente, un pochino di profitto per ma il magazine. Questo articolo infatti (non so se "offerto" o sollecitato dall'ufficio stampa della casa editrice, o semplicemente ripreso da un giornalista che aveva letto il libro), ho visualizzato molti banner pubblicitari, tra cui una skin (quel bannerone che fa tipo da sfondo nella parte alta degli articoli).
Ho anche condiviso l'articolo, portando (forse) altri, sul sito, generando impression, ovvero visualizzazioni di spazi pubblicitari. Rolling Stone, come la maggior parte dei siti editoriali, vende spazi pubblicitari: più gente entra su Rolling Stone, più l'editore viene pagato. Non che vengano pagati profumatamente, ma il business è questo. Giusto o sbagliato che sia.
È per questo che Rolling Stone, quando è morto Bowie, scriveva solo articoli su Bowie: perché tutti volevano leggere e condividere su Facebook articoli su Bowie.
(nota: non sto criticando il modello, anzi! Lo sto solo descrivendo)

I nostri figli non ci pensano nemmeno a pagare la musica (o i magazine). E gli artisti giovani forse non ci pensano nemmeno a far pagare la loro musica: eppure la musica non è morta; eppure i musicisti famosi non fanno la fame, tra pubblicità, concerti, ospitate.
Lo so che c'è gente che perde il lavoro e mi spiace molto; ma altri lo trovano, e in questo mondo così complesso si aprono degli spazi di creatività inaspettati. Che, sono certa, premieranno quelli che, come i nostri figli, sono nati senza la terra sotto ai piedi.
E qualcosa si inventeranno.

Commenti

  1. Io la musica la pago ancora, pago Spotify che trovo mi dia un servizio soddisfacente e pago i vinili che voglio collezionare e ascoltare con calma.

    Forse faccio male, forse Spotify e affini sono dei tiranni che sfruttano i poveri cantautori...
    Ma alla fine mi sembra di avere molto più accesso alla musica rispetto a vent'anni fa (quando bastava copiare una cassetta o farsi le proprie compilation registrando dalla radio), e credo che le mie figlie ne avranno ancora di più rispetto a me, e questo mi conforta parecchio :P

    RispondiElimina
  2. Anche io non mi sento esattamente una pirata: compro a volte la musica su itunes, ho comprato tanti cd (ma ho smesso perché ascoltarli sta diventando un'impresa), addirittura a volte compro la visione dei film su youtube :D
    Spotify non lo pago, perché quello che mi serve è gratis.

    RispondiElimina
  3. a me sta solo parecchio sul cazzo che si possano scaricare intere discografie, così non c'è più il discorso di "consumare" i dischi.

    Ieri ero a un concerto, cantavo a squarciagola quasi tutte le canzoni perchè erano canzoni di un cd che avevo ascoltato milioni di volte e ne ero così ossessionato che mi sono cercato i testi e le traduzioni mentre i ragazzini vicino a me manco sapevano che cazzo stessero ascoltando.
    Bah. Sono anziano.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Billy, purtroppp il mondo di oggi è: tantissima robba, l'impossibilità materiale di fruirla tutta. Anche io non credo che una playlist su spotify sia lussuriosa come la mia prima cassetta, ma del resto mia madre pensava che si era goduta la sua unica bambola più di quanto io abbia fatto con le mie 15 barbie. Ma non è vero: io ho trovato in quel caso il modo che più mi piaceva per fruire quella piccola abbondanza, e amavo le barbie non perché ne avevo solo una ma perché potevo inventare infinite storie con tanti personaggi.

      Elimina
    2. Snoccioli belle frasi come se piovesse.

      E poi:
      "Carolina sostiene che quando è felice le viene spontaneo fare la ruota a ripetizione per il lungomare."
      mi ha disegnato un bel sorriso in faccia

      Elimina
  4. condivido assolutamente il tuo discorso. Se posso, aggiungerei solo che occorre iniziare a spiegare ai nostri figli, che dovranno essere in grado di essere creativi e liberi anche sul lavoro. dico questo perché la mia paura è quella di creare delle generazioni libere di non pagare nulla ( e meno male e grazie a Dio) ma con l'idea che il lavoro significhi ancora posto fisso e provincia italiana, proprio come la segretaria disoccupata della casa discografica.
    Credo che se riusciremo a fare questo potremo crare una generazione finalmente libera davvero. Come mai forse prima.

    Fine del pistolotto.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Purtroppp l'italia non aiuta in questo. Una partita iva è un inferno, essere liberi non è un'alternativa al lavoro dipendete ma un salto nel vuoto con enormi probabilità di farti male. Imho eh.

      Elimina
  5. oddio, quando come me sei un'autrice che si fa un discreto mazzo a scrivere prima e a cercare editori che paghino i diritti dopo e ti vedi - successo 2 giorni fa - due romanzi piratati su Emule, girano. Questo sull'editoria che forse impatta in maniera meno immediata, ma che alla fine il discorso è uguale. Sandra frollini

    RispondiElimina
  6. Quella che descrivi per il musicista è una strategia che ha funzionato bene anche per te: tieni un blog gratuito e privo di spazi commerciali e markette, e con questo spazio libero e creativo hai potuto dimostrare quanto sei brava e magari ne deriveranno delle offerte di lavori pagati.
    Però il musicista di cui dici, verrà davvero ricordato per il motivetto del gelatone ?? no dai, ti prego. spero che passerà alla storia per qualche astruso concept album ricco di ricerca e sperimentazione.
    comunque alla fine questo conflitto tra creatività e committenza c'è sempre stato nei secoli...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Quando ho aperto questo blog avevo una triennale, un curriculum da commessa, facevo amministrazione (male), e il lavoretto come giornalista locale non era un'alternativa economicamente praticabile. Ho provato a puntare sui nuovi media, spendendomi anche il blog, mi hanno dato fiducia, e qualche collaborazione ben pagata nata qui mi ha aiutato a mettere in piedi un curriculum. Non mi sono spesa un numero di lettori ma comunque si, il concetto è quello, ho messo in piazza chi ero, senza aspettative e gratuitamente, e ci ho guadagnato anche senza chiedere soldi :).

      Elimina
  7. eh comunque per rispondere a Bill Lee, pure io sono una nostalgica, mi compro i ciddì, i vinili e mi piace ascoltare gli album INTERI dall'inizio alla fine e non le "playlist" da associare all'umore del giorno.
    sarebbe come leggere solo un capitolo di un libro e poi uno di un altro etc etc.
    le tecnologie cambiano sicuramente il modo di fruire la musica e anche il modo di interagire con le persone! Ma la musica non l'ammazzi: si diceva "video killed the radio stars" a ora invece è MTV che è morta...

    RispondiElimina
  8. Aaaahhh la musica. Una volta non si consumava tutto quello che passava perchè costava. Adesso la masticano e la sputano come e quando vogliono. Mia nipote ha 16 anni, studia violino e lirica, il prossimo anno inizia il conservatorio, ma per lei Ariana Grande ha la voce più bella di sempre. Non so dove sbattere la testa, ma nel frattempo le spaccio i cd degli Area di straforo.

    RispondiElimina
  9. facevo esattamente le stesse riflessione.Mia figlia spara a manetta musica da you tube tutto il giorno, il suo (e un tempo mio...) pc ha un impianto degno del miglior hifi dei miei tempi. Non compravo il panino a scuola per comprare le musicassette...(come sono vecchia).La musica è cultura. La cultura oggi è aperta e non costa. Tra libri e musica mi ci voleva un patrimonio...ora biblioteca multimediale e musica on line...le compro focus wild giusto perchè appiccica i poster alle pareti...

    RispondiElimina

Posta un commento

attenzione: i commenti ai post più vecchi di 14 gg vengono moderati! A causa del troppo spam ho disattivato le notifiche via email per i commenti in attesa...ma prima o poi li modero.