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Nessun compromesso

In questo periodo, dico proprio le ultime settimane, l'ultimo mese, non è che mi piaccio molto. Una massa, si dice in dialetto romagnolo. Per dire tanto ma in senso ironico, tipo non tanto. "Eh, na masa". Eh, non mi piaccio una massa.

C'è questa situazione che mi mette a disagio e ho questa rabbia dentro. Quando sono arrabbiata do il peggio di me, dico a livello interpersonale. Sono cinica all'ennesima potenza, scostante, maleducata. Tipo fossi una corda di violino che la sfiori male e provoca una cacofonia intensa, che ti allontana, ti fa mettere le mani sulle orecchie. Questo lato di me lo conosce soprattutto chi sta tanto tempo con me, tipo la mia famiglia, tipo tutti i morosi che ho avuto, perché prima o poi viene fuori. Le mie amiche meno, perché quando sono così preferisco stare da sola. Le mie amiche non le punzecchio. Se una persona mi provoca una rabbia cieca non può essere mia amica, comunque.
Mio fratello lo racconta a tutti che sono molto più cattiva di quello che sembro, che se ho il cazzo girato ci vuol niente che faccio piangere la gente. Ecco perché qualche anno fa, quando provò a intraprendere un'avventura da freelance, mi chiese di essere la sua socia. Perché so far piangere la gente.
Però quando tiro fuori questa rabbia ogni giorno, diventa un problema. Ma forse va bene, forse mi deciderò a cambiare le cose, o me stessa, dopo molte volte che mi lascio andare a reazioni che non mi piacciono e mi dico com'è che devo essere cos'è che devo fare non lo so non ci riesco non ci posso fare niente.



L'altra sera sono andata al cinema con Mattia e Fra a vedere Life. C'era la settimana del cinema, si spendeva tre euro. Che bella la settimana del cinema. Siamo andati al cinema d'essai, in centro. Ha la carta da parati a fiori, nel bar ci sono le caramelle in sacchettini di cellophane chiusi con la puntatrice; e i sacchetti di patatine sono impolverati. I film hanno il primo tempo e il secondo. Al cinema Sarti mio nonno faceva la maschera, come secondo lavoro. In pratica vigilava sugli spettatori, al buio. Insomma, Life parlava di James Dean, interpretato da un Robert Pattinson decisamente espressivo,  tutto tabagismo e musi lunghi traditi da splendidi quanto sporadici sorrisi.
Ma poi, no, tornando a me, è stato come un messaggio dell'universo, posto che io non sono né bella, né famosa, né incredibile come James Dean. È stato un po' un messaggio che mi diceva: "ti piacciono eh, le persone presuntuose e arroganti e che non scendono mai a compromessi? Forse non sei così male sai? Se ti vedessi da fuori ti piaceresti. Perché ti rimproveri allora?".

C'è questo contadino novantenne, nel ravennate. Leggo che le suo foto delle nostre campagne, negli anni, vinsero qualche concorso importante, ma lui non andava a ritirare i premi perché non ci aveva i soldi per il biglietto. Ora le ha comprate un importante gallerista di New York, ma questo signore, di andare a vedere le sue foto esposte, non se la sente, è un contadino, forse neanche gli importa. Le ha fatte, lui, lei foto. Capite, l'espressione, la creazione, era fotografare, il resto è un di cui, anche il riconoscimento. Io, ecco, vorrei vivere così. Potermi permettere di essere scostante perché il fine non è il riconoscimento, ma la poesia.

Commenti

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    1. nu ma perché hai cancellato, ti stavo per rispondere :D

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  2. Ok ti soprannominerò Furia Buia... Come quel drago adorabile di Dragon's Trainer...

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  3. Ci metti sempre un sacco di roba in questi tuoi post così densi, che uno non sa bene neanche cosa vorrebbe commentare.
    Penso che il signor Ulisse Bezzi trovasse nella fotografia l'approdo di una bellezza che lui già riconosceva nel mondo intorno. Gli omaggi alla bellezza non possono che provenire da un amore viscerale per quella realtà a cui si offre lo sguardo. Quindi amare prima di tutto la vita, così com'è, con le sue luci e le sue ombre, le sue imperfezioni, le nostre inadeguatezze, il resto è accessorio. Ma bisogna possedere una grande consapevolezza di sé per essere in grado di fare a meno del riconoscimento del mondo, fosse pure in nostro micriscopico mondo di provincia, o quello intimo dei nostri cari. Da qui ai 90 anni, quella saggezza forse arriva. Nel frattempo la rabbia è un buon propulsore, anche quando distruttiva, basta non ci sia solo quella.

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    1. Dimenticavo: incalzata dai tuoi proclama entusiastici sull'autore, ho preso in biblioteca, un po' a casaccio, lo ammetto, Ghiaccio nove. Finito ieri mentre le bimbe reclamavano la mia attenzione all'ennesima proiezione domestica di alladin.
      Niente, sono ancora sconvolta... Credo di dover metabolizzare.

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    3. No, scusa, adesso devi dirmi perché Ghiaccio 9 ti ha sconvolta. A proposito, è proprio a tema col post. A me ha colpito il fatto che Franklin volesse a tutti i costi cedere il posto da presidente. Perché lo faceva? Perché era un creativo. E voleva creare, non prendersi responsabilità, non metterci la faccia, solo solo creare. Come il padre, scienziato "puro", inventore della bomba atomica.

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    4. Scusa se rispondo con tanto scarto. Ho voluto evitare di farlo dal cellulare, ché per qualche strana ragione mi parte lo stesso commento tre volte.
      Beh, direi che è fortino come libro, no? L'ho trovato di un pessimismo violento che non lascia scampo alla speranza circa le sorti dell'umanità, che è bestia stupida, superficiale e negativa. Impietoso, un po' come Saramago in Caino, solo che Saramago ha un sorriso ironico e amaro che lascia spazio malgrado tutto, ad una sorta di indulgenza; quella di Vonnegut più una risata sarcastica, un giudizio inappellabile e impietoso, in quel suo universo grottesco e surreale, eppure tanto verosimile. Per quanto riguarda la questione della rinuncia al potere, non la vedo come una rinuncia assimilabile al rifiuto di riconoscimenti in nome dell'arte pura; il tizio del libro per più che un artista, lo vedevo un faccendiere ottuso. Quel rifiuto mi è sembrata la negazione di una coscienza etica, il rinunciare a un agire consapevole, il nascondersi dietro un dito di chi non vuol vedere le conseguenze che ogni nostro agire ha nella storia. La banalità del male della Arendt se vuoi, dove nessuno è colpevole, e tutti lo siamo, perché il nostro agire non è consapevole, o rinuncia ad esserlo, per potersi proclamare innocente.

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    5. Ho una visione diversa di Vonnegut. Anzi, io se confronto Vonnegut e Saramago li vedo al contrario di come li vedi tu. Il secondo: amaro. Il primo: umano. Non lo trovo un pessimista violento, anzi, lo trovo uno per cui l'umanità ha una speranza: il singolo individuo può essere diverso, in un mondo come ben dici tu "grottesco e surreale eppure verosimile" (in realtà sto pensando più ad altri romanzi, come Perle ai porci e a La colazione dei campioni).
      Per quanto riguarda il protagonista di questo libro, non è a lui a cui mi riferivo quando dicevo "creatività pura". Parlavo dell'inventore della bomba atomica e del figlio Franklin. Il protagonista è uno che sembra capitato nella vita per caso, non lo trovo ottuso, e credo peraltro, se non ricordo male, che esprima un paio di riflessioni sulla scrittura e che in qualche modo potrebbe essere l'alter ego dell'autore. Non vedo neanche il "è colpa di tutti", quanto un "sono disperato e voglio proteggere la mia poesia in questo mondo di pazzi e stupidi, anche se penseranno che il pazzo sono io", riflessione in cui mi ritrovo molto.
      Abbiamo dato diverse letture. Ma sono felicissima che ti abbia colpito e stimolato questa riflessione profonda.

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    6. Il faccendiere ottuso lo riferivo, a Franklin! Non è un personaggio che mi ha colpito positivamente.
      Non conosco molto questo autore, anzi, non lo conosco affatto, e confesso di essere curiosa. Però non so se prenderei subito in mano un altro romanzo, proprio per questo senso di malessere che mi ha trasmesso.
      Comunque credo sia normale che una stessa lettura susciti reazioni, e interpretazioni, tanto dissimili in lettori diversi.
      In quanto a Saramago, io sono di parte: lo amo!

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    7. Anche io comunque impazzisco per Saramago. Per il suono che fanno le sue parole da scritte, e anche per i suoi personaggi così "looser". Però ecco, mi angoscia più che Vonnegut.

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