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A questo pensavo

Io e A. siamo andati in fiera il giorno prima, come al solito. Lui il tecnico, io il marketing. Lui ha portato le demo, io le brochure.

Se la fiera è tutta finzione, cosce, e gadget, la fiera il giorno prima è tutta verità.
Montatori, falegnami, spazzini. Uomini adulti sgridati in pubblico. Quelli che verniciano, quelli che sgomberano, quelli che trasportano. Il bagno delle donne è chiuso, nel bagno degli uomini c'è la pipì sulla tavoletta. E i parcheggiatori con il giubbino fluorescente, che urlano, indicano, e poi se non capisci scuotono la testa in segno di disapprovazione.
Io guardavo, incantata e silenziosa, il nostro stand che prima non c'era, e poi pian piano c'era.
A. mi ha chiesto: "Tutto bene?"
Io mi sono riscossa e ho risposto: "Sì, stavo solo pensando". Non abbiamo abbastanza confidenza, io e A., perché lui mi chieda a cosa penso, ho pensato.
"A che cosa pensi?"
Tanto vale che glielo dico.
"Penso alla verità. A quel tizio in ascensore, che mi ha detto che il suo turno di oggi, e anche quello di domani, è di quattordici ore. Quando è entrato lo spazzino, lui gli ha chiesto "quanto manca?", e intendeva quanto ti manca per finire la giornata, e io ho pensato a chi fa il conto a rovescio per vedere la luce in fondo al tunnel, ogni giorno. E penso a quanto sono piccole le persone rispetto a questo centro fieristico. E penso che sembra che il cemento se li mangi. E penso a quel falegname, lo vedi? S'è fatto fuori tutte le dita. Mio nonno faceva i traslochi, e c'era un attrezzo che chiamava "gru" ma in realtà non era neanche un montacarichi, che gli ha mozzato almeno tre dita. Il pollice invece se lo schiacciò nello sportello del camion. Io ero una bambina, lo guardavo dal sedile del passeggero del suo camion: uscì per andare a prendere il caffè, era una mattina di sole, eravamo in un viale alberato a Lugo di Romagna, e quando rientrò nel camion si chiuse un dito nello sportello. Non urlò, non bestemmiò, non pianse. Serenamente, tornò nel bar, si fece dare qualche tovagliolino che arrotolò attorno al pollice e poi mi riportò a casa.
A questo pensavo".

Il giorno dopo avevo i tacchi e il rossetto, a recitare la mia parte.
Ma quando avevo il tempo di guardarmi attorno, lo sapevo il segreto degli stand in cartongesso: le dita mozzate, le bestemmie, i turni da quattordici ore, il cemento, il caldo del parcheggio pieno di gas di scarico, e gli stand che ieri non c'erano, oggi ci sono, domani verranno smantellati in fretta, per far posto ad altri operai senza dita, e poi tacchi e cosce, sempre in loop.


Commenti

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  2. Non li avevo mai pensati così i grandi eventi...
    Grazie per il nuovo e reale punto di vista.

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  3. meraviglioso retroscena

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  4. Ad essere sincera mi sono commossa. Mio padre da artigiano ha lavorato dietro quelle quinte per 45 anni. Orari infernali e spesso notturni. Tutt'un tratto i montatori di stand '' a costo pari a zero'' hanno preso il sopravvento e mio padre si ritrova a casa da diversi anni senza lavoro. Peccato. Gli mancavano giusto 4 anni per una degna e meritata pensione. E ora è fermo a chiedere di poter lavorare. Ma le fiere vanno avanti.

    Fortunatamente però ha tutte le dita.
    :-)

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  5. Non tutti hanno l'abilità di guardare sotto la superficie. Le cose sono come vengono presentate e non ci si domanda se sia esistito un prima. Invece c'è tutta un'umanità che tiene in piedi ciò che vediamo e non la ringraziamo mai.

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  6. Straordinario, banalità 2.0

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  7. Io solitamente le fiere le odio* però questa sei riuscita a farmela piacere.
    * le detesto soprattutto perché durante l'università a volte lavoravo agli Stand come hostess...mi ricordo ancora i mal di piedi allucinanti dopo 8/10 ore in piedi e quella volta che mi cadde una lente a contatto verde nel wc e facevo tanto david Bowie e quella volta in cui coi super mega postumi di una sbornia feci tutto il tempo avanti-indietro stand-wc (E questa volta facevo molto Nancy Spungen).

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  8. Verissimo.
    Mentre studiavo ho fatto (tante) fiere dell'oro qui a Vicenza, evento internazionale di quando c'erano tanti soldi, e li vedevo anch'io i montatori, che spesso dormivano in albergo da noi.
    Ettore quando andava a quelle di Dubai mi ha riferito cose inenarrabili di quelli pachistani, importati con voli a/r in giornata e trattati vergognosamente.
    Baci

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  9. Ancora più significativo se pensi che lo stesso ragionamento si può applicare a tutto il nostro sistema economico. Abbiamo spostato nei paesi poveri il lavoro sporco e qui ci siamo tenuti le cose meno pericolose, il marketing, i ruoli di dirigenza, etc.
    che tristezza.

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    1. Il capitalismo in generale è terribile. Semplicemente il profitto è il fine e le persone sono i mezzi, terribile davvero.

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  10. Ciao! Non riesco a ricordarmi se ci siamo già incrociate o commentate i reciproci blog, so che ti seguo da un po', anzi, da tanto tempo, e ora che ho ripreso a scrivere volevo commentarti.

    Mi è piaciuto questo tuo post. Il mio papà ci è andato spesso, in fiera, anche se ha sempre vissuto il lato più tranquillo, quello, per certi versi, più artefatto. Però me l'ha raccontato, sempre, tutto il lavoro che c'è dietro a una fiera. Questo tuo post mi ha commossa, anche se non mi tocca direttamente, non davvero. Sei stata... brava, davvero, a descrivere questo lavoro che passa sempre inosservato, che noi diamo spesso per scontato, ma che non è ovvio, per niente.
    Penso passerò spesso da te!
    baci
    Minerva

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    1. Grazie. Non ricordo se ci siamo lette, ho una memoria a breve termine terrificante...

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  11. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  12. io penso che le fiere siano l'apoteosi del finto. La realtà è un'altra cosa. Oltre a questo penso che non servano a nulla. A cosa dovrebbero servire? Ne ho fatte sia come espositore che come visitatore, ormai secondo me servono solo a far vedere che ci sei, che esisti come azienda. Tempo e denaro buttati, noia e tristezza.

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    1. Bè Marta, far vedere che esisti come azienda non è esattamente inutile, è quello su cui si fonda il nostro sistema, purtroppo.

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    2. vero, quello che intendevo dire è che sarebbe meglio se le aziende oltre a dare prova di esistenza in vita avessero anche qualcosa da dire, qualcosa di nuovo da proporre. Non sempre è cosi, e si va in fiera solo perchè non si puo mancare l'appuntamento, anche a costo di non aver nulla da dire. E' questo che trovo triste e inutile.

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    3. Concordo. Penso spesso alla mia esperienza con la fiera del libro di Bologna. Ok, io appartenevo alla sfigatissima categoria degli illustratori per l'infanzia, quindi venivo trattata alla stregua dei venditori ambulanti in spiaggia ad Agosto.. diciamo che me la sono cercata. Però penso a quel che dovrebbe servire la fiera in sé: non solo far vedere che esisti, ma anche conoscere qualche realtà, qualche collaboratore, che so, qualche illustratore in erba che potrebbe essere ciò che cerchi e costare anche un filo meno dei soliti nomi blasonati. Idem per gli scrittori. Il clima che invece si respirava era: andiamo a farci scacciare come mosche, a supplicare anche solo un colloquio con qualche casa editrice straniera, prendere dei moduli di contatto che sai mai.. e all'ultimo giorno vediamo se riusciamo a recuperare qualche libro gratis. Niente a che vedere con quel che doveva servire un appuntamento di tale portata (espositori da tutto il mondo, scrittori, interviste, proprietari di librerie..).

      Poi magari è un problema delle fiere di editoria per ragazzi..

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