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UN'IDENTITA' DI GENERE BASATA SULL'ASSENZA

A me qui piace scrivere nell'anarchia totale, però ieri ho scovato l'argomento del mese su genitoricrescono.com che è proprio mio, e allora, mentre ero dal dentista, guardavo la ventola sul soffitto e ci pensavo, ci pensavo. Mi dicevo: troppo vasto, se voglio scrivere qualcosa devo concentrare le mie riflessioni, chessò, su "chi è che socializza un bambino ai ruoli sessuali? i genitori, i giocattoli, la televisione? e come?".
Ma poi come al solito, un branco di liceali impazziti ha occupato, anzi okkupato, la mia mente inerme, e i pensieri sono andati per conto loro. Perchè quando sei tra le grinfie di un dentista, benchè piacente, devi evitare di pensare a tutti gli attrezzi con cui ti sta ravanando nel cavo orale. Se almeno non avesse proferito che stava rimuovendo il tartaro da sotto (sotto!) le gengive, non mi sarei prodotta in riflessioni impegnative e adesso saremmo qui a disquisire chessò, sulle tangenti di Big Pharma (ma nooooo!) oppure anche sulla gradevolezza della temperatura nell'autunno del 2010 che, fatemi indovinare?, è il più caldo degli ultimi cent'anni.

E invece no.
Il fatto è che, come mi capita spessissimo, anzichè produrre delle risposte, una tesi diciamo, ho prodotto delle domande.
E' chiaro che sono partita dalla mia esperienza. E mi sono chiesta COME ha capito di essere una femmina anzichè un maschio (ehi, tu dell'ultima fila, ti ho visto che ridi! Sì, ho i baffi, e allora?).
In realtà, a ventisette anni, dietro alla Mia personale identità di genere c'è tutto un processo razionale, uno scardinare quello che davo per scontato. E' qui il punto: credo che la socializzazione dei ruoli sessuali avvenga solo in minima parte consapevolmente. Viene data per scontata. Viene dato per scontato che la bambina gioca con le bambole e il maschio con le macchinine; viene dato per scontato che in casa la mamma lava i piatti e il papà guarda la partita. E, tanto per cambiare, la televisione, avvalla a suo piacimento comportamenti standardizzati nei quali la maggioranza si possa riconoscere. Il fatto è che la maggioranza è sempre meno omogenea, e, in una società complessa, avvallare il majority thinking, significa più che altro fornire un modello comodo da rappresentare. Per vendere.
E le minoranze, che non credo siano solo tre famiglie sfigate?
Parlando della socializzazione ai ruoli sessuali, sono "minoranze" tutte le famiglie ove i genitori non corrispondono perfettamente alla concezione nazionale dei sessi: le famiglie monoparentali, le famiglie con genitori omosessuali, le famiglie che vantano un padre casalingo e una madre in carriera. Credo che tutti i bambini nati in seno a queste famiglie, prima o poi si chiedano qual è la "normale" divisione dei ruoli. La tv, come mezzo che non ammette replica, sembrerà a questi bambini una fonte di "verità assolute" e cercheranno di imitare la normalità degli altri. Velina, calciatore o famiglia del mulino bianco.

Io sono stata una bambina senza babbo. Se, da un lato, ho sviluppato un'identità di genere basata sull'assenza e mancante di una qualche relazione con l'altro genere, dall'altro ho dato per scontato che per gli altri fosse diverso, se vogliamo "più normale", "più giusto". Un maschio che cresce senza figure maschili a cui fare riferimento immagino sviluppi la propria identità di genere "per sottrazione": è maschile tutto quello che NON è femminile.

Parlando di processi identitari, siamo proprio sicuri, come genitori, di poter dare un contributo più forte di quello della (pretesa) cultura dominante, di quello delle varie cenerentole delle favole che aspettano solo il principe azzurro e intanto subiscono e ramazzano? Per quanto io mi impunti a voler dare la Mia visione dei ruoli, che è frutto di un processo razionale, ma anche inconscio, sono proprio sicura che le mie figlie, da adolescenti, non considerino più gratificante una carriera da veline piuttosto che da veterinarie, commesse, impiegate?

Oltre a fornire un esempio di femminilità dignitosa, io, sono anche un'esempio di donna soddisfatta e felice? Perchè credo che, alla fin fine, lo scopo delle mie figlie, così come il mio, così come quello delle veline, sia quello di essere felici. E si imita ciò che si immagina dare la felicità, o anche solo un surrogato di essa.

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Commenti

  1. Argomento assai interessante, questo.
    Non ho le competenze per sviscerarlo e nemmeno per tentare un ragionamento mio, neppur terra terra.
    Posso dirti la mia esperienza: sono cresciuta con madre e padre fisicamente presenti, però buoni solo a scoraggiare e criticare qualunque cosa volessi fare o facessi. Per il resto, nada. Obbedire, arrangiarsi e pedalare. Quindi nella scelta del mio ruolo non hanno inciso manco per niente, ho dovuto far-da-me.
    E, con il senno di poi, dico meno male.

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  2. I modelli sono importanti, ma qualcosa c'è anche nei geni, secondo me. Io ero un maschiaccio, sempre in pantaloni e scarpe da tennis e come sport facevo judo. La Principessa veste solo di rosa, mette solo vestiti e ha scelto danza (io detestavo le bambine che fanno danza) non so da dove è venuta fuori. Però è molto cosciente dell'essere femmina e trova che i maschi sono tutti un po' scemi.

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  3. Io ero il figlio maschio che mio padre non ha avuto. Sentivo pesantemente su di me la responsabilità che la famiglia si sarebbe esaurita con me , per colpa mia che ero nata erroneamente femmina. Sarà stato per questo? Con le bambole io ero il marito, a carnevale mi vestivo da cow boy, ero il cavalier servente delle bimbe, sparavo col fucile ad aria compressa ed andavo a pesca.
    Tra l'identificarmi con una madre serva vittimista e lagnosa ed un padre simpatico e gioviale, io ovviamente ho scelto lui, e a distanza di quasi mezzo secolo sono ancora il maschiaccio che ero allora, il mio hobby preferito è la falegnameria, son più brava col trapano che con le pentole, e se qualcosa di femminile mi è arrivato è stato grazie a quella campionessa che ho generato: lei ha foto fatte a 2 anni con le gambette vezzosamente accavallate. Lei di certo non avrà problemi di identità sessuale, beata!

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  4. Ciao Polly
    molto interessante su questo tema è il libro "dalla parte delle bambine" di Elena Gianini Belotti.
    E' parecchio datato (anni 70) e in effetti in alcuni esempi lo si sgama subito, però per me è stato illuminante.
    Temo comunque che a prescindere da quello che cerchi tu di passare alle tue figlie, il fatto stesso di vivere all'interno di una società le condiziona. Ti faccio un esempio: la mia nipotina di quasi 5 anni ritiene le sue coetanee "frignone" e si diverte di più a giocare con i gormiti. I maschietti però non l'accettano all'interno del loro branco, quindi per quanto lei si sforzi di scardinare il principio "femmina=bambole-gonne-vestitirosa" e "maschi=giochiviolenti-gormiti-macchine", questo le è vietato dalla società stessa.
    Quindi probabilmente possiamo spiegare ai nostri figli che certe caratteristiche di genere non sono incise nella pietra, cioè che non è vero x es che i maschi NON POSSONO giocare con le bambole o NON POSSONO vestirsi di rosa in quanto maschi, ma solo perchè è una consuetudine secolare che la società continua a tramandare.
    Forse anche solo la consapevolezza può aiutarli, da li a scardinare certe abitudini temo ce ne passi

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  5. dovresti leggere, se non l'hai già fatto, Middlesex, di Eugenides Jeffrey. storia (vera) di un ermafrodito che i genitori in buona fede (o no) credono bambina, finchè con la pubertà etc etc.

    scoperchia il vaso di pandora, come il post di genitoricrescono, come il tuo post.

    comunque non ti vorrei mai come amica, sei troppo intelligggggente, mi faresti sfigurare! :)

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  6. WOW,
    dì la verità ti sei iscritta a filosofia (oltre a lavorare, ad avere tre bimbe, una casa da mandare avanti e un gatto) e non ce l'hai detto.
    Non so bene come sia la questione "sesso-inteso-come-identità-sessuale" per i bambini. Io mi sono sempre sentita un maschiaccio, ma da piccola mi facevo toccare da tutti i ragazzetti dell'asilo.
    Ancora adesso ho tormenti relativi alla mia femminilità, ma non credo dipenda dalla tv (che ai tempi guardavo in abbondanza). Più da mia madre, chè anche lei era un maschiaccio, e da mio padre, che ai tempi non dava importanza alla femminilità.

    (comunque le tue bimbe sono femmine, ma femmine fighe, non fighette! Come te, anzi, meglio ancora!)

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  7. Un post molto interessane ognuno dovrebbe essere consapevole di queste situazione...
    Se dovrei dare un voto da uno a dieci non esiterei a dare dieci +.
    Un abbraccio forte,
    Tomaso

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  8. Io penso che l'identità sia insita in ognuno di noi già nel momento in cui viene deciso se siamo più X o più Y. Poi ai genitori spetta il compito di aiutare i bambini a sviluppare alcune parti di questa identità.
    Sfatare luoghi comuni, insegnare l'uguaglianza e l'umiltà. Se alla base dell'identità di chiunque ci fosse umiltà e uguaglianza penso che l'unica cosa che ci differenzierebbe sarebbe nelle mutande e non nella testa!!! Intendo dire che essere femmine o uomini è uno status quo che non dovrebbe avere modelli ma ognuno dovrebbe essere modello di se stesso. Costruirsi una personalità non in base al sesso ma in base alle inclinazioni caratteriali.
    La femminilità, invece, è una cosa diversa dall'identità. La femminilità equivale, per me, allo charme. C'è chi lo ha e c'è chi no....

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  9. mi sono rivista un po' nella descrizione di VerdeSalvia, anche io sono sempre stata per i miei genitori il maschio che non è arrivato, quindi sempre lì a sentirsi in obbligo di dimostrare qualcosa e ad essere un po' maschiaccio, giocavo con le armi, ma anche con le bambole.
    per questo nonostante alcuni miei aspetti un po' maschili, comunque mi sento 'femmina' e mi piaccio proprio per queste caratteristiche.

    e cmq è vero sei troppo intelligenterrima, mai come amica una filosofa, mai! :-)
    e.

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  10. intanto grazie a tutte per avermi dato dell'intelligente: so bene cosa intendete, e difatti la mia migliore amica mi chiama "pesetas", come a dire che sono pesante. :)

    detto questo, in questo post mi sono concentrata solo su una minuscola parte della questione. molte di voi hanno parlato della "vezzosità" delle proprie figlie: ecco, per me è lo stesso. che la "femminilità" sia nei geni, ne dubito. a mio avviso, al limite, nei geni c'è un'istinto diverso tra uomo e donna nei confronti del partner: lui protegge, lei figlia. credo però che per le nostre bimbe e per noi da piccole, significhino tanto gli atteggiamenti del "peer group", cosa di cui nel post non ho parlato sennò sarei ancora qui a scrivere con due borse sansonite sotto agli occhi e voi avreste saltato pari pari.

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  11. E' esattamente ciò che sostiene la Gianini Belotti nel suo saggio che ti ho citato sopra: non si tratta di una differenza genetica, che pure è innegabile, ma soprattutto una differenza di atteggiamento, di educazione e di aspettative.
    In sostanza lei scrive che da una femmina ci si aspetta che sia tranquilla, che giochi a fare la mammina e che imiti la mamma nelle faccende di casa, che ami il rosa e sia vezzosa.
    Da un maschio ci si aspetta che sia casinista, incontenibile, amante dei motori e rutti&birra sul divano.
    Poichè questo è il cliché legato ai due sessi, più o meno involontariamente nell'educazione dei nostri figli anche noi lo riapplichiamo, invitando per esempio una bambina vivace a "non fare il maschiaccio" e considerando una "femminuccia" un bambino tranquillo.
    Ripeto che lei scrive negli anni 70, quindi una parte di ciò è in parte superato, ma ancora oggi io rivedo negli atteggiamenti degli adulti queste diverse aspettative in base al genere.
    Lei dice che siamo noi adulti per esempio a proporre/imporre giochi che riteniamo adatti all'uno o all'altro sesso. Non proporremmo mai ad un maschio di giocare per esempio con le bambole, mentre ci risulta normale che una femmina lo faccia.
    Come giustamente dici tu queste riflessioni portano più a delle domande che a delle risposte: ma se fosse possibile azzerare le caratteristiche di genere costruite dalla società, i nostri figli si costruirebbero una identità sessuale diversa da quella attuale?

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  12. @wonderP: ottimo commento. tra l'altro leggevo in un saggio, che purtroppo dall'ultimo trasloco è rimasto in cantina per mancanza di spazio :( che i giochi hanno un preciso significato per lo sviluppo del bambino, a prescindere dal genere. attraverso il gioco delle bambole o delle barbie per esempio, simulano le dinamiche famigliari. attraverso la lotta, invece sfogano l'aggressività. quindi giochi "maschili" e giochi "femminili", vanno bene per tutti e sono ugualmente importanti.

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  13. grazie Polly! Il tuo post mi ha molto stimolato!
    bello bello!
    :)

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  14. Dalle ricerche di psicologia dello sviluppo: la consapevolezza del sè categorico, cioè il sè relativo alle categorie con cui ci definiamo, inizia ad emergere intorno ai 2 anni. Nel sè categorico è compresa la consapevolezza del proprio genere. Però il concetto di "costanza di genere", cioè la certezza che il genere non cambia con gli anni (e che un maschio con la parrucca bionda e lunga è sempre un maschio) si stabilizza intorno ai 5/6 anni. Con questo voglio dire che, per una certa percentuale, la consapevolezza sessuale avviene spontaneamente. Ma su questo gioca cmq molto (non ricordo in che percentuale) il peso sociale! I bambini giocano preferibilmente con giochi "adatti" al loro sesso già dai 2 anni ma, guarda caso, questa tendenza è più spiccata nei bimbi maschi perchè su di loro la pressione ad aderire al proprio gender è maggiore (e a questa pressione rispondono con maggiore rapidità). Inoltre, dal momento in cui i bambini si definiscono "maschi o femmine" iniziano anche a prediligere partner di gioco del medesimo sesso (e anche queste scelta pare avvenire-ma non vorrei sbagliarmi- più rapidamente nei maschi).
    Relativamente alle famiglie non tradizionali, molte ricerche dimostrano che la percentuale di figli omosessuali presenti nelle famiglie omosessuali è pari a quella delle famiglie eterosessuali quindi l'esempio genitoriale non intacca la scelta. Inoltre, se accolti in un contesto amorevole, i figli delle famiglie non tradizionali non presentano problemi a livello psicologico (traggo questi dati dai testi di Rudolph Schaffer, stimato psicologo dell'infanzia).
    Personalmente credo che queste ricerche siano state svolte in paese più capaci di accettare le famiglie non tradizionali, ma non ne sono certa (non ricordo, ho dato l'esame molto tempo fa e non mi sono più occupata di bimbi).
    Con questo cosa volevo dire? Probabilmente nulla.
    Anzi, una cosa: è assurdo che i nostri politici e i nostri vescovi si riempano la bocca di sentenza senza avere la minima idea della materia di cui stanno parlando. Dovrebbero tutti studiare di più prima di legiferare, e soprattutto smetterla con l'inutile perbenismo di cui si fanno portavoci.
    Ora, probabilmente tutto questo non ha nulla a che fare con quello che ha detto Polly ma mi sono lasciata prendere la mano.
    I am sorry Polly.
    Baci, il tuo blog mi piace sempre molto.
    F

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  15. OMG, questo è un tema scottante.
    Io sono cresciuta con una madre completamente plagiata, iper-sottomessa,dalle perenni crisi di pianto e depressione e con un padre dedicato solo agli sport del seilenzio alternato alla critica feroce e del veto a prescindere. Insomma (con zampino del cattolicesimo in casa mia imperante): la moglie stia zitta e si faccia in 4 per il marito, il maritto esiga solo obbedienza cieca senza darsi la pena di consocere chi gli sta intorno.
    Io (come insegnano i manuali del gioco) mi sfogavo giocando con i Masters, odiando ferocemente le bambole e facendo solo cose da maschio.
    Eppure.
    Eppure sono decisamente (in)sicura della mia femminilità: mi piacciono i capelli lunghi, mi piace vestirmi alla moda, mi piacciono gli uomini.
    I geni dunque. Ma la mia femminilità è anche influenzata dall'infanzia: gli uomini mi piacciono solo se sono forti, affidabili e se mi lasciano indipendente; della moda scelgo look decisi (jeans, stivaloni, giubbotti... o divise da Lady Oscar).
    Insomma: secondo me siamo un misto tra la genetica e gli insegnamenti; la società credo abbia la parte meno importante (assume più importanza laddove la famiglia è assente).
    ...scusate lo sfogo... è un momento così...

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