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Il mio posto sicuro

Delle volte, in ascensore, appoggio la testa alla parete di ferro verniciata di verde; mi vedo da fuori, stremata, sotto alla luce del neon, come se ci fosse una camera nell’angolo alto della cabina, e penso che potrei scrivere un post su questo senso di sovraccarico che provo. Già alle 8.30 di mattina, quando porto il cane a pisciare.

Poi non lo faccio mai. Perché quel senso di sovraccarico non è una mia menata, dovuta all’emergenza geriatrica, o alla rava e alla fava; è uno stato reale, fisico, come di un vaso troppo pieno. Che non mi lascia le energie neanche per scriverne. Perché delle volte, nella vita, ci sono delle cose, chiamiamoli problemi, oppure anche, perché no, loop personali, che non lasciano spazio ad altro.

È un po' come quando avevo ventisette anni, ero appena stata mollata, e l'ho realizzato solo quando, una sera, c'è stata una leggera scossa di terremoto e io ero sola sul divano e, pensando alle mie tre piccole che dormivano in tre lettini tutti attaccati, mi sono chiesta: "E ora chi salvo?".

Dopo dieci anni, ho ancora la stessa responsabilità, e però l'adolescenza mi porta via il controllo degli eventi. Ci sono delle volte che posso solo stare ferma sperando che la casa non cada. Stare ferma anche quando invece le tegole mi cadono in testa: non è un motivo sufficiente per andare.

Non è che sono qui a lamentarmi, intendiamoci. Ad aggiungere negatività alla negatività.

Sono qui perché è il mio posto sicuro.


 

Due anni fa la psicologa mi diceva: qual è il tuo posto sicuro? Io dicevo: la mia casa a BucoDelCulo, poi però mi veniva da piangere per tutta la burocrazia, i sacrifici e le banche ladre, allora lei diceva: non va bene, cerchiamone un altro, va bene anche un luogo non fisico. Io allora dicevo vorrei essere a cavallo con mio padre come quando ero piccola, poi però anche lì mi veniva da piangere perché andavamo a cavallo in comunità e a un certo punto mia nonna mi diceva che dovevamo andare via e che non dovevo dire a mia madre che eravamo stati lì. Cristo, come potevo a quattro anni portare un peso così grosso? Così la psicologa diceva, non va bene neanche questo, troviamone un altro. Allora lì, ho usato l’immaginazione. C’era questo libro di questo psichiatra che diceva: immaginatevi nel fondo del mare, mentre guardate le cose che succedono in superficie, mentre voi siete al sicuro. Non era un luogo per me perfetto perché non amo l’acqua, però ci poteva stare.

Che stupida: il mio posto sicuro c’era, ed è qui, e ha il suono dolce della tastiera, di queste dita che battono veloci.

Non è il suono del lamento, questo. È il suono del tirare fuori come mi sento, che finché sta là dentro non verbalizzato, è come un brutto magma nero, un veleno corrosivo. Voglio solo che non mi corroda, non voglio liberarmene. 

Essere felici è solo un momento, un momento di grazia in cui chi ami è felice. Se tu sei felice sempre, a prescindere, allora sei probabilmente molto solo. Non c’è positive thinking che serva a una straminchia, se chi amo non è felice.

Se anche io mi crogiolassi in quello che ho qui dentro, che è abbastanza luminoso, non basterebbe per un cazzo.

Quella rosa che ho dentro deve essere protetta, stare sotto una campana di vetro, perché è fottutamente fragile. Lei sente. E scrive. C’è un solo modo per avvicinarla: leggerla.Ce l'avete davanti, ora: che volete farne?

Fuori c’è un corpo che resiste. Che si sveglia di notte e mentre va a bere e cerca di non pestare il cane, fa il giro delle stanze per vedere che ci siano tutte, che non siano attaccate al telefono ad alienarsi. C’è un corpo che resiste e spesso pranza in macchina da solo, mentre corre da un’incombenza all’altra. C’è un corpo, ma più una testa, che va a lavorare. Una testa che resiste e cerca di ricordarsi di controllare lo stato delle pratiche inps, l’appuntamento per la cistite della gatta e per l’apparecchio delle figlie; e di tenere il fiato sul collo alla banca per quella pratica che, colpevolmente, ritardano accumulando interessi. Che cerca di non dimenticarsi gli annunci per le biciclette in vendita, né la lista della spesa, né i panni stesi. 

Burocrazia burocrazia burocrazia. Disclaimer disclaimer disclaimer. La gente su Facebook. Apnea apnea apnea. Le regole le regole le regole.

Non riconosco nessuna regola, io; a parte quello che è giusto.

Andrà tutto bene, semplicemente perché male e bene non esistono. Esiste solo come mi sento.

E ora mi sento un po' meglio.

Commenti

  1. Che splendida che sei, io sono innamorato di te.

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  2. Fantastica. Semplicemente.

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  3. Come sempre riesci a descrivere gli stati d'animo alla perfezione...e sarà che mi sento esattamente così, come dici, un vaso pieno fino all'orlo ma in questo momento vorrei solo piangere e lasciarmi andare...la cosa più vera in assoluto é: "Non c’è positive thinking che serva a una straminchia, se chi amo non è felice."...è proprio così...questa cosa mi devasta, mi sento così impotente...(Lia)

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    Risposte
    1. La cosa bella è che, come i momenti belli, anche quelli brutti prima o poi finiscono. Dobbiamo "solo" resistere in apnea, poi per forza deve arrivare una soluzione o almeno un adattamento che ci consenta di vivere decentemente.

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  4. E per molte di noi, leggerti è uno dei posti sicuri..

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  5. Scrivi divinamente, polly. Lieto di poter leggere il tuo posto sicuro.
    Un saluto,

    EM

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